sabato 18 settembre 2010

Ascoltarti è una festa

19 settembre

XXV DOMENICA DEL TEMPO COMUNE

Testo preso dal libro
del biblista
Fernando Armellini
Ascoltarti è una festa.
Le letture domenicali spiegate alla comunità
Anno C
Ed. Messaggero, Padova, pp. 520-529

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 16,1-13.
Diceva anche ai discepoli: «C'era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi.
Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore.
L'amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno.
So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua.
Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo:
Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d'olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta.
Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta.
Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto.
Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera?
E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona».



Amministratori di beni che non ci appartengono

“Del Signore è la terra e quanto contiene, l’universo e i suoi abitanti” (Sal 24,1).
L’uomo è un pellegrino, vive da straniero in un mondo non suo. E’ un viandante che attraversa il deserto: gli appartiene tanta terra quanta ne può calpestare con il suo piede; appena muove un passo già non è più sua.
Gli uomini non sono padroni, ma amministratori dei beni di Dio. E’ l’affermazione che viene ripetuta con insistenza dai padri della Chiesa. Ne ricordiamo uno, Basilio: “Non sei tu un ladro quando consideri come tue le ricchezze di questo mondo, ricchezze che ti sono state consegnate solo affinché tu le amministrassi?”.
L’amministratore è un personaggio che compare più volte nelle parabole di Gesù.
Abbiamo quello “fedele e saggio” che non agisce in modo arbitrario, ma utilizza i beni che gli sono stati affidati secondo la volontà del padrone: sfama gli altri servi. Ne abbiamo invece un altro che, in assenza del Signore, approfitta della sua posizione per “farla da padrone” e darsi alle crapule (Lc 12,42-48).
C’è l’amministratore intraprendente, che si impegna, ha il coraggio di rischiare e fa rendere i capitali del padrone e uno fannullone e infingardo (Mt 25,14-30).
Il più imbarazzante è l’amministratore “scaltro” del quale si parla nel Vangelo di oggi.
Nelle mani di ogni uomo il Signore colloca un tesoro. Che fare per amministrarlo bene?

Per interiorizzare il messaggio, ripeteremo:
“Alla ricchezza, anche se abbonda, non attaccate il cuore”.

Padre Fernando Armellini

martedì 14 settembre 2010

15 settembre Mater Dolores


«Donna, ecco il tuo figlio!».

 Gesù è morente sulla croce. Sta vivendo nello strazio del dolore i suoi ultimi momenti di atroce passione. Sta per dire al Padre e proclamare all’intera umanità che «Tutto è compiuto». A quel compiuto di amore infinito manca un ufficiale e solenne coinvolgimento della Madre sua, che è lì affranta, ai suoi piedi, a condividere lo stesso dolore, a dare, anche Lei, come aveva dichiarato, all’Angelo, il pieno compimento alla promessa di adempiere fino alla fine la sua missione di Madre del Verbo: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga in me secondo la tua parola». Gesù la chiama ancora «donna» perché la identifica con la nostra umanità da salvare, ma sta per dirle «Madre» perché con la sua intima e profonda partecipazione alla sua sofferenza si qualifica come la corredentrice del genere umano. E come tale la «Donna» diventa «Madre» a pieno titolo: perché è la perfetta discepola, perché sta esprimendo anche Lei in pienezza la sua maternità nei confronti del Figlio, nei confronti dei figli. In quell’ «ecco tuo figlio», Gesù mostra se stesso alla madre e addìta tutti noi a Lei. Sta offrendo al Padre il prezzo del nostro riscatto che egli per primo ha pagato per noi, ma che racchiude anche il dono della Madre per tutti i suoi figli. Così Maria, la Madre entra ufficialmente nella «casa». Non è soltanto la casa del discepolo ad accoglierla, ma la Chiesa tutta diventa la casa di Maria. La sua maternità diventa universale e così Lei entra nel nostro mondo e allo stesso tempo assume il suo ruolo, quello di essere la genitrice di tutti i figli che vogliono conformarsi a Cristo. Oggi Egli, guardando ancora con infinito amore la Madre sua, ripete a tutti noi, alla sua Chiesa, a tutti i sofferenti, alle mamme affrante come lei per la perdita dei propri figli: «Ecco la tua madre!». Pare voglia ripetere a tutti: il dolore offerto per amore ormai è soltanto motivo di redenzione e di salvezza perché non conduce più alla morte, ma al riscatto, alla risurrezione, alla vita nuova in Cristo.



Esulta Madre Dolorosa:
dopo tanto soffrire, rivestita di gloria celeste,
tu siedi regina presso il trono del tuo Figlio.


I SANTI DI OGGI


DALLA REGOLA DEL NOSTRO SANTO PADRE BENEDETTO

Ci teniamo però a far notare espressamente che se a qualcuno non piace questa distribuzione dei salmi, li disponga pure diversamente, nel modo che ritiene più opportuno; purché faccia attenzione che ogni settimana si reciti l’intero salterio dei centocinquanta salmi e che la domenica alle Vigilie notturne si ricominci sempre da capo; perché darebbero prova di grande pigrizia nel servizio a cui si sono consacrati quei monaci che nell’arco di una settimana recitassero meno dell’intero salterio insieme ai cantici consueti, quando invece leggiamo che i nostri santi Padri compivano con fervore in un sol giorno ciò che noi tiepidi è da sperare che riusciamo a fare almeno in una intera settimana.  (Cap.18,22-25.) (Monaci Benedettini)

 

lunedì 13 settembre 2010

Esaltazione della Santa Croce

 Esaltazione della Santa Croce

Festa

BIOGRAFIA
La croce, già segno del più terribile fra i supplizi, è per il cristiano l’albero della vita, il talamo, il trono, l’altare della nuova alleanza. Dal Cristo, nuovo Adamo addormentato sulla croce, è scaturito il mirabile sacramento di tutta la chiesa. La croce è il segno della signoria di Cristo su coloro che nel Battesimo sono configurati a lui nella morte e nella gloria. Nella tradizione dei Padri la croce è il segno del Figlio dell’uomo che comparirà alla fine dei tempi. La festa dell’esaltazione della croce, che in Oriente è paragonata a quella della Pasqua, si collega con la dedicazione delle basiliche costantiniane, costruite sul Golgota e sul sepolcro di Cristo.

MARTIROLOGIO
Esaltazione della Santa Croce, quando l’Imperatore Eraclio, vinto il Re Cosroa, la riportò dalla Persia in Gerusalemme.

DAGLI SCRITTI...
Come Mosè ha innalzato il serpente nel deserto…Dai «Discorsi» di sant’Andrea di Creta, vescovo
La croce è gloria ed esaltazione di Cristo

Noi celebriamo la festa della santa croce, per mezzo della quale sono state cacciate le tenebre ed é ritornata la luce. Celebriamo la festa della santa croce, e così, insieme al Crocifisso, veniamo innalzati e sublimati anche noi. Infatti ci distacchiamo dalla terra del peccato e saliamo verso le altezze. E’ tale e tanta la ricchezza della croce che chi la possiede ha un vero tesoro. E la chiamo giustamente così, perché di nome e di fatto é il più prezioso di tutti i beni. E’ in essa che risiede tutta la nostra salvezza. Essa é il mezzo e la via per il ritorno allo stato originale.
Se infatti non ci fosse la croce, non ci sarebbe nemmeno Cristo crocifisso. Se non ci fosse la croce, la Vita non sarebbe stata affissa al legno. Se poi la Vita non fosse stata inchiodata al legno, dal suo fianco non sarebbero sgorgate quelle sorgenti di immortalità, sangue e acqua, che purificano il mondo. La sentenza di condanna scritta per il nostro peccato non sarebbe stata lacerata, noi non avremmo avuto la libertà, non potremmo godere dell’albero della vita, il paradiso non sarebbe stato aperto per noi. Se non ci fosse la croce, la morte non sarebbe stata vinta, l’inferno non sarebbe stato spogliato.
E’ dunque la croce una risorsa veramente stupenda e imareggiabile, perché, per suo mezzo, abbiamo conseguito molti beni, tanto più numerosi quanto più grande ne é il merito, dovuto però in massima parte ai miracoli e alla passione del Cristo. E’ preziosa poi la croce perché é insieme patibolo e trofeo di Dio. Patibolo per la sua volontaria morte su di essa. Trofeo perché con essa fu vinto il diavolo e col diavolo fu sconfitta la morte. Inoltre la potenza dell’inferno venne fiaccata, e così la croce é diventata la salvezza comune di tutto l’universo. La croce é gloria di Cristo, esaltazione di Cristo. La croce é il calice prezioso e inestimabile che raccoglie tutte le sofferenze di Cristo, é la sintesi completa della sua passione. Per convincerti che la croce é la gloria di Cristo, senti quello che egli dice: «Ora il figlio dell’uomo é stato glorificato e anche Dio é stato glorificato in lui, e lo glorificherà subito» (Gv 13, 31-32). E di nuovo: «Glorificami, Padre, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17, 5). E ancor: «Padre glorifica il tuo nome. Venne dunque una voce dal cielo: L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò» (Gv 12, 28), per indicare quella glorificazione che fu conseguita allora sulla croce. Che poi la croce sia anche esaltazione di Cristo, ascolta ciò che egli stesso dice: Quando sarò esaltato, allora attirerò tutti a me (cfr. Gv 12, 32). Vedi dunque che la croce é gloria ed esaltazione di Cristo.(Disc. 10 sull’Esaltazione della santa croce; PG 97, 1018-1019. 1022-1023)

Alcuni testi del Vespro Bizzantino.
La Croce esaltata invita tutta la creazione a cantar inni alla passione immacolata di Colui che su di essa fu innalzato: sulla Croce Egli mise a morte chi aveva dato la morte, risuscitò i morti e, purificatili, li rese degni, nella sua misericordia ed infinita bontà, di vivere nei cieli… Mosè ti ha prefigurato estendendo le braccia verso l’alto e mettendo in fuga il tiranno Amalek, o Croce veneranda, vanto dei fedeli, sostegno dei martiri, ornamento degli apostoli, difesa dei giusti, salvezza di tutti i santi. Per questo alla vista della tua esaltazione, il creato si rallegra e glorifica Cristo, la cui estrema bontà ha riunito per te ciò che era diviso.

Venite, fedeli, adoriamo il legno vivificante: su di esso Cristo, Re della gloria, stese le braccia e ci risollevò alla beatitudine iniziale di cui aveva spogliato il nemico… Venite, fedeli, adoriamo il legno grazie al quale siamo giudicati degni di schiacciare le teste dei nemici invisibili. Venite, famiglie tutte delle genti, veneriamo con i nostri canti la Croce del Signore…

Adoriamo la tua Croce, Signore, e glorifichiamo la tua santa risurrezione.



DA VEDERE (links esterni):


 Mon. Benedettini

sabato 11 settembre 2010

Per accettare il Padre bisogna convertirsi al fratello.

Nutriamoci della Parola di DIo del 12 settembre 2010
Lc 15,1-32

1 Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per
ascoltarlo. 2 I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». 3 Allora egli disse loro questa parabola:
4 «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? 5 Ritrovatala, se
la mette in spalla tutto contento, 6 va a casa, chiama gli amici e i vicini
dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. 7
Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.
8 O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e
spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? 9 E dopo averla
trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato
la dramma che avevo perduta. 10 Così, vi dico, c'è gioia davanti agli angeli
di Dio per un solo peccatore che si converte».
11 Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12 Il più giovane disse
al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro
le sostanze. 13 Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue
cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. 14
Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a
trovarsi nel bisogno. 15 Allora andò e si mise a servizio di uno degli
abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. 16
Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. 17
Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in
abbondanza e io qui muoio di fame! 18 Mi leverò e andrò da mio padre e gli
dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; 19 non sono più degno
di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. 20 Partì e
si incamminò verso suo padre.
Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al
collo e lo baciò. 21 Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e
contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. 22 Ma il padre
disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli
l'anello al dito e i calzari ai piedi. 23 Portate il vitello grasso,
ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto
ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.
25 Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a
casa, udì la musica e le danze; 26 chiamò un servo e gli domandò che cosa
fosse tutto ciò. 27 Il servo gli rispose: E' tornato tuo fratello e il padre
ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. 28
Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. 29
Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un
tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. 30
Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato,
per lui hai ammazzato il vitello grasso. 31 Gli rispose il padre: Figlio, tu
sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32 ma bisognava far festa e
rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed
è stato ritrovato».


I destinatari dell’insegnamento sono gli scribi e i farisei. La parabola è
un invito ai giusti perché si convertano dalla propria giustizia che condanna i
peccatori, alla giustizia del Padre che li giustifica.

Mentre il peccatore sente il bisogno della misericordia di Dio, il giusto non la
vuole né per sé né per gli altri, anzi si irrita grandemente con Dio, come Giona (Gio
4, 29). In questo modo rifiuta Dio, che è misericordia, in nome della propria giustizia.

La contrapposizione tra uno e tutti sottolinea la condizione di precedenza di
chi è fuori strada, malato e infelice rispetto a chi è al sicuro, in salute e nella
gioia.

Nell’Antico Testamento il pastore è Dio (Ger 23,1-6; Ez 34,12-16; Sal 23;
ecc.), nel Nuovo è Gesù (Gv 10,11ss). Il cuore del Padre si rivolge tutto verso
l’unico figlio che manca. Non basta la presenza di tutti gli altri per consolarlo.
Egli ha un amore totale per ognuno. La sofferenza per la perdita di uno solo ci rivela
quanto valore ha ognuno di noi ai suoi occhi di Padre.

L’atteggiamento del Padre si rivela nel comportamento di Gesù che cerca
l’uomo perduto e invita gli amici e i vicini perché condividano la gioia del
ritrovamento.

L’iniziativa della salvezza è di Dio che non attende il ritorno del
peccatore smarrito, ma gli va incontro e lo porta a casa sua. La gioia di Dio per il
ritorno del peccatore sta nel vedere riconosciuta e accolta la sua misericordia.

La gioia di Dio sarà piena quando tutti, anche i giusti, si convertiranno.
Secondo Paolo il punto di arrivo della storia è la conversione d’Israele (Rm
11,25-36). La gioia di Dio per la salvezza di uno solo lascia intravedere la sofferenza
divina del Padre fino a quando non vede tutti i suoi figli nella sua casa.

In realtà la pecora non si è convertita. Non siamo noi che ritorniamo a Dio,
ma è lui che viene a cercarci. Convertirsi è volgere il nostro sguardo dal proprio io a
Dio, dalla nostra nudità all’occhio di colui che da sempre ci guarda con amore.

Nella parabola della pecora perduta il protagonista era un uomo, figura di Dio,
pastore d’Israele. Nella parabola della dracma perduta è una donna, figura
dell’amore materno di Dio. Dio mi è più madre di mia madre: è lui infatti che mi
ha tessuto nel seno di mia madre (Sal 139,13). Egli ama ciascuno di amore pieno e totale.
Se ne manca uno solo, la sua casa è vuota. Perché ama ogni figlio più di se stesso.

Dio non ci ama in questo modo infinito perché siamo bravi, ma perché siamo
suoi figli. E il fatto che siamo peccatori, pecore perdute e dracme smarrite, ci rende
oggetto di un amore più grande (Lc 5,32; 19,10). Il valore di ogni cosa e di ogni persona
si rivela nella sua perdita; il nostro valore si è rivelato nella morte stessa di Dio che
si è perduto per ritrovarci. Il nostro valore è infinito, pari all’amore di Dio che
l’ha portato a dare la vita per noi. Il Signore dice ad ogni uomo: "Tu sei
prezioso ai miei occhi, sei degno di stimai e ti amo" (Is 43,4).

La dracma mantiene tutto il suo valore anche quando è perduta o ritrovata tra
la spazzatura: l’uomo è il tesoro di Dio anche quando si perde e viene ritrovato
nella spazzatura del peccato e della degradazione.

La parabola del Padre misericordioso e del figlio perduto e ritrovato rivela il
centro del vangelo: Dio come Padre di tenerezza e di misericordia. Egli prova una gioia
infinita quando vede tornare a casa il figlio da lontano, e invita tutti a gioire con lui.

Gesù fin dall’inizio mangia con i peccatori (cfr Lc 5,27-32). Ora invita
anche i giusti. Attaccato da essi con cattiveria, li contrattacca con la sua bontà,
perché vuole convertirli. Ma la loro conversione è più difficile di quella dei
peccatori. Non vogliono accettare il comportamento di Dio Padre che ama gratuitamente e
necessariamente tutti i suoi figli: la sua misericordia non è proporzionata ai meriti, ma
alla miseria. I peccatori a causa della loro miseria sentono la necessità della
misericordia. I giusti, che credono di essere privi di miseria, non accolgono la
misericordia.

Questo brano è rivolto al giusto perché occupi il suo posto alla mensa del
Padre: deve partecipare alla festa che egli fa per il proprio figlio perduto e ritrovato.
Questa parabola non parla della conversione del peccatore alla giustizia, ma del giusto
alla misericordia.

La grazia che Dio ha usato verso di noi, suoi nemici, deve rispecchiarsi nel
nostro atteggiamento verso i nemici (cfr Lc 6, 27-36) e verso i fratelli peccatori (cfr Lc
6,36-38). Il Padre non esclude dal suo cuore nessun figlio. Si esclude da lui solo chi
esclude il fratello. Ma Gesù si preoccupa di ricuperare anche colui che, escludendo il
fratello, si esclude dal Padre.

Nel mondo ci sono due categorie di persone: i peccatori e quelli che si credono
giusti. I peccatori, ritenendosi senza diritti, hanno trovato il vero titolo per
accostarsi a Dio. Egli infatti è pietà, tenerezza e grazia: per sua natura egli ama
l’uomo non in proporzione dei suoi meriti, ma del suo bisogno.

I destinatari della parabola sono gli scribi e i farisei, che si credono giusti.
Gesù li invita a convertirsi dalla propria giustizia che condanna i peccatori, alla
misericordia del Padre che li giustifica. Mentre il peccatore sente il bisogno della
misericordia di Dio, il giusto non la vuole né per sé né per gli altri, anzi, come
Giona (4, 9), si irrita grandemente con Dio perché usa misericordia.

La conversione è scoprire il volto di tenerezza del Padre, che Gesù ci rivela,
volgersi dall’io a Dio, passare dalla delusione del proprio peccato, o dalla
presunzione della propria giustizia, alla gioia di esser figli del Padre.

Radice del peccato è la cattiva opinione sul Padre: e questa opinione è comune
ai due figli. Il più giovane, per liberarsi del Padre, si allontana da lui con le
degradazioni della ribellione, della dimenticanza, dell’alienazione atea e del
nihilismo. L’altro, per imbonirselo, diventa servile.

Ateismo e religione servile, dissolutezza e legalismo, nihilismo e vittimismo
scaturiscono da un’unica fonte: la non conoscenza di Dio. Questi due figli, che
rappresentano l’intera umanità, hanno un’idea sbagliata sul conto del Padre: lo
ritengono un padre-padrone.

Questa parabola ha come primo intento di portare il fratello maggiore ad
accettare che Dio è misericordia. Questa scoperta è una gioia immensa per il peccatore e
una sconfitta mortale per il giusto. E’ la conversione dalla propria giustizia alla
misericordia di Dio. La conversione consiste nel rivolgersi al Padre che è tutto rivolto
a noi e nel fare esperienza del suo amore per tutti i suoi figli. Per questo il giusto
deve accettare un Dio che ama i peccatori. Per accettare il Padre bisogna convertirsi al
fratello.

Padre Lino Pedron begin_of_the_skype_highlighting    

sabato 4 settembre 2010


                                                                                                            


Domenica 5 settembre 2010
XXIII Domenica del Tempo Ordinario Anno C
Lc 14,25-33
 Dal Vangelo secondo San Luca
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: 
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. 
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. 
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. 
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Gli inviti di Dio
[…] La moderna, disagiatissima civiltà, fatta tutta di aspirazioni materiali, di traffici e di piaceri brutali, apostata da Dio, rifiuta il Banchetto della vita. Il Signore, allora, chiama i cosiddetti popoli incivili, li fa partecipi delle grazie, e mostra che innanzi a Lui non ci sono differenze di razze o di condizioni, e che Egli non è accettatore di persone.
Grande cena del Signore è il Banchetto eucaristico, cena mirabile di grazie, alla quale Egli invita le anime. Com’è vergognoso l’atteggiamento di queste innanzi ad un dono così grande! Alcune, prese dalle preoccupazioni della vita materiale, dicono di non potervi andare, e perdono il loro tempo nell’acquisto insaziato di beni terreni; altre, assorte nei commerci, non sanno trattare che di buoi, di maiali, di stoffe, di mercanzie, e perdono miseramente l’ineffabile tesoro della Comunione; altre, infine, si lasciano trascinare dal vortice della vita sensuale e non sanno apprezzare i tesori ammirabili della vita eucaristica.
È penosissimo vedere deserto l’altare, banchetto di immensa felicità, ed è penosissimo vedere le povere creature perdersi miseramente nelle stupidissime e molte volte mortali gioie terrene! Quando si pensa al movimento della vita c’è davvero da piangere, pensando agl’innumerevoli infelici che in essa si agitano e si dilaniano. Quanti uomini sono lontani dai Sacramenti, quanti cercano come conforto della vita quello che la dilania, quanti vivono da disperati nel tempo e nell’eternità! Noi, che abbiamo la sorte di servire il Padre celeste, non dobbiamo mai stancarci d’invitare le anime al Banchetto della vita, e non dobbiamo mancare mai all’invito giornaliero alla Mensa celeste, per poter un giorno partecipare alla Mensa eterna nella gloria.
Gesù uscì dal banchetto del fariseo accorato, pensando alla diversità dei pensieri degli uomini dai suoi pensieri e alla causa per la quale tanti non rispondono agl’inviti di Dio. Perciò, essendosi radunata gran turba di popolo intorno a Lui, cominciò a dire apertamente che era impossibile conciliare i propri pensieri e i propri interessi con i pensieri di Dio e con gl’interessi eterni, ed esclamò: Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la sua vita, non può essere mio discepolo. E chi non porta la sua croce e mi segue, non può essere mio discepolo.
È evidente che Gesù Cristo non insinua d’odiare i propri cari, ma di avversarli completamente quando si oppongono o ci sono di ostacolo alle vie del Cielo. Egli parla delle parentele più strette e persino della propria vita, per parlare degli interessi che ci sono cari, come può esserci caro il padre, la madre, ecc., e persino la nostra vita. Nel medesimo senso, Egli disse altra volta che bisognava strapparsi l’occhio, la mano, il piede, ecc., se sono causa di scandalo.
Può avvenire che i genitori stessi e le persone più care siano contrarie agl’interessi di Dio, e allora è per noi necessarioodiarli, cioè stare ai loro antipodi, e seguire una via perfettamente opposta alla loro; ma Gesù vuol dire, in generale che quello che ci è caro o a cui siamo attaccati in opposizione ai precetti o alla volontà di Dio, dev’essere da noi rifiutato e avversato come chi odia un altro.
L’odio, infatti, stabilendo una divisione completa fra due persone e rendendole inconciliabili, è l’espressione più efficace della nostra divisione dal mondo, dallo spirito del mondo e da tutto quello che ci attrae, in opposizione ai precetti e all’amore di Gesù.
È necessario rinnegarsi, e persuadersi che non si può abbracciare la Legge del Redentore, senza abbracciare la propria croce e seguirlo nelle vie dell’immolazione e del Calvario. È questo un fondamento imprescindibile per chi vuole veramente essere perfetto e raggiungere il Paradiso.
La risposta attenta a seria all’invito di Dio
Con due parabole, Gesù mostra che cos’è la vita cristiana, e con quanta ponderazione e serietà debba abbracciarsi: chi edifica una torre, calcola prima, seduto al tavolo, e quindi con ogni attenzione, le spese che sono necessarie per completarla, per non esporsi alla derisione degli altri, cominciandola e non terminandola. Un re che vuole muovere guerra ad un altro re si raccoglie prima per vedere se le sue forze sono sufficienti per vincere; diversamente cerca di venire a trattative di pace. La vita cristiana è, dunque, un edificio che s’innalza ed una guerra che s’ingaggia; richiede grande ponderazione e grande forza d’animo, ponderazione e forza che si ottengono dalla divina bontà, rinnegandosi e rinunciando a tutto ciò che trae l’anima alla terra.
Chi non si distacca da tutto e non persevera nel combattere il mondo, il demonio e la carne, diventa come sale scipito che non è buono né per la terra né per il concime, cioè che non può essere neppure utilizzato come i rifiuti, per ingrassare la terra direttamente o per essere mescolato al concime, ma è gettato via, è riprovato da Dio e perde la vita eterna. Gesù soggiunge: Chi ha orecchi per intendere intenda, rivolgendosi specialmente ai suoi discepoli che dovevano edificare la Chiesa e combattere la grande battaglia col mondo, col demonio e con la carne; essi più di tutti dovevano rinnegarsi e rinunciare a tutto per amore di Dio.
Gli apostoli non potevano pretendere di conquistare dei posti nel mondo né potevano aspirare alla sistemazione delle loro famiglie; l’apostolato comportava una completa rinuncia ad ogni vincolo familiare e ad ogni interesse materiale, perché essi dovevano andare per il mondo a predicare la buona novella fra grandi tribolazioni, e rimetterci anche la loro vita. Dicendo Gesù: Chi ha orecchi per intendere intenda, forse si rivolse in modo particolare a Giuda, il quale già cominciava ad avversare la compagnia del Signore e, portando la borsa delle elemosine, pensava solo a trarne profitto per assicurarsi una vita indipendente e provvista del necessario senza preoccupazioni.
Anche la nostra via è via di abnegazione e di rinunce, quando vogliamo seguire Gesù e lavorare per la propagazione del suo regno. Quasi sempre avviene che quelli che meno intendono le nostre grandi aspirazioni sono proprio i parenti più stretti, ed è per noi una necessità contrastarne le idee o le vedute, per poter seguire fedelmente Gesù.
Non siamo per questa terra, e non dobbiamo avere come meta i beni materiali, la sistemazione, gli onori, i posti, e tanto meno i divertimenti e i bagordi della vita. Abbandoniamoci a Dio, cerchiamo la sua volontà e la sua gloria, seguiamo Gesù fedelmente e perseveriamo nel servirlo sino alla fine, per raggiungere la felicità eterna.
Sac. Dolindo Rutolo