sabato 31 luglio 2010

Omelia del giorno 1 agosto 2010

XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 12,13-21.
Uno della folla gli disse: «Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità».
Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni».
Disse poi una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto.
Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti?
E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni.
Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia.
Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?
Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio».
 

La stoltezza di svendersi alle 'cose'


Se c'è un grande inganno, che il demonio ha sempre cercato di proporre all'uomo, è quello di svendere la propria dignità e felicità vera a ciò che non può assolutamente soddisfare le nostre esigenze più profonde, ossia il possesso delle cose.
Dovremmo sapere tutti ormai, per esperienza, che ciò che è materiale, senza anima, non può mai colmare il nostro cuore. Sono 'cose', che possono donare soddisfazione, gratificazione, ma possono anche, purtroppo, rubarci l'anima.
Ciò che Dio ha creato – ed 'è cosa buona' – ci è però dato solo per un servizio alla vita, mai come oggetto 'assoluto' di felicità.
Ricordiamoci come la Sacra Scrittura ben evidenzia l'inganno, presentandoci – sotto forma di mito – ciò che il serpente seppe escogitare nel momento della prova, nel paradiso terrestre.
Dio aveva donato ad Adamo ed Eva tutto il creato, perché lo coltivassero, ma Lui, e solo Lui, era la gioia: l'uomo 'passeggiava con il suo Dio'.
Satana seppe intrecciare una menzogna fatale: far credere che il possesso del frutto proibito avrebbe fatto felici i nostri primogenitori, 'rendendoli come Dio'.
E sappiamo tutti come, dopo aver mangiato il frutto, Adamo ed Eva si videro 'nudi' e `si nascosero' agli occhi di Dio.
Giunge ancora oggi, come monito e sofferenza, il grido del Padre: 'Uomo dove sei?'.
Seguì la cacciata dal paradiso, per essere soli su questa terra, che certamente non offre la stessa pienezza... a meno che impariamo a dominarla, preferendo l'amore del Padre e verso gli uomini, alle cose che periscono.
Basta guardarci attorno, per rendersi conto di come tutti siamo continuamente tentati di 'riempire la vita' di cose materiali, di 'ricchezze', causa di lotte tra noi, differenze e diffidenze sociali, ma alla fine lasciando inevitabilmente un grande vuoto nel cuore.
Nulla può sostituire il Bene dell'Amore del Padre!
Nella vita, le persone veramente felici, le ho incontrate ín chi ha saputo e vissuto il distacco dai beni terreni, per godere di quella povertà-libertà di spirito, che diventa ricchezza di amore e di gioia anche per gli altri.
Non sono giunte al nostro cuore, forse, le parole di Quoelet:
"Vanità delle vanità – dice Quoelet – vanità delle vanità e tutto è vanità.
Perché chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo, dovrà poi lasciare tutti i suoi beni a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e grande sventura. Allora quale profitto c'è per l'uomo in tutta la sua fatica e in tutto l'affanno del suo cuore con cui si affatica sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e preoccupazioni penose: il suo cuore non riposa neppure di notte. Anche questo è vanità". (Quoelet 2, 21-23)
Ma come è facile farsi prendere il cuore da queste vanità!
Eppure la vera gioia è nella libertà dalle cose: una libertà che ci permette di guardare il Cielo ed anche la sofferenza e le povertà dei fratelli.
S: Francesco d'Assisi, che aveva trascorso gli anni della giovinezza nell'agiatezza, dopo aver seguito la voce di Gesù, che lo chiamava alla santità, si fece talmente povero, da deporre tutto nelle mani del vescovo e restare nudo.
Ed è la scelta di tutti i Santi, quelli che la Chiesa nomina e quelli che sono ancora tra noi: sanno prendere il giusto distacco dalle cose senza anima della terra e vivere la povertà dello spirito, che è un cuore, che 'si serve' dei beni della terra, per quello che sono, miseri e caduchi, per restare totalmente aperto ai beni del Cielo e alle necessità del prossimo.
Ce ne sono tanti cristiani così, anche tra di noi.
Dopo il terremoto nel Belice, era per me grande gioia vivere l'estrema povertà causata dal sisma, con i miei fedeli, vivendo i disagi nelle tende, prima, e quelli ancora più duri in quelle che chiamavamo baracche per la loro fragilità.
La baracca, in cui si viveva, era la testimonianza della povertà totale, ma nello stesso tempo era la gioia di condividere una sofferenza con chi soffriva, con la povertà della nostra gente. Ci ammonisce l'apostolo Paolo, scrivendo ai Colossesi:
"Fratelli, se siete veramente risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio: pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra.
Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio!
Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, voi sarete manifestati con Lui nella gloria. Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quell'avarizia insaziabile che è idolatria". (Col. 3, 1-5)
È davvero grande miopia svendere la grande potenza e bellezza del cuore a cose che 'passano; possono solo dare qualche passeggera soddisfazione, ma non sono felicità e libertà.
Eppure ci cascano in tanti. Basterebbe andare su una spiaggia, in questi tempi, per notare come trionfa l'idolatria del corpo, destinato a perire, e il trionfo della moda e dell'immodestia, come se il bello del corpo, che Dio ha dato, fosse merce e non prezioso dono.
Ascoltiamo il Vangelo di Luca, che la Chiesa ci propone oggi:
"In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: 'Maestro, dì a mio fratello che divida con me l'eredità. Ma egli rispose: 'O uomo, chi mi ha costituito giudice e mediatore sopra di voi?: E disse loro: 'Guardatevi e tenetevi lontani dalla cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni. Disse poi una parabola: 'La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: 'Che farò? Perché non ho dove riporre i miei raccolti?' e disse: 'Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni per molti anni, ripòsati, mangia, bevi, datti alla gioia. Ma Dio gli disse: `Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?:
Così è di chi accumula tesori per sé e non arricchisce davanti a Dio". (Lc. 12, 13-21)
Davvero una seria lezione per tutti noi, anche oggi: una lezione che deve aiutarci a prendere le distanze dall'aver l'animo 'soddisfatto' dalle cose, cioè sentirsi ricchi - quando poi si può veder svanire tutto nel breve spazio di Luna notte - per fare spazio alla povertà di spirito, che davvero fa conoscere la gioia di amare e il vero senso della libertà interiore.
Diceva Paolo VI, che cito sempre come grande maestro di fede:
"Il possesso e la ricerca della ricchezza, come fine a se stessa, come unica garanzia di benessere presente e di pienezza umana, è la paralisi dell'amore. I drammi della sociologia contemporanea lo dimostrano, e con quali prove tragiche e oscure! E dimostrano che l'educazione cristiana alla povertà sa distinguere innanzitutto l'uso del possesso delle cose materiali, e sa distinguere poi la libera e meritoria rinuncia ai beni temporali, in quanto impedimento allo spirito umano nella ricerca e nel conseguimento del suo ottimo fine supremo che è Dio e del suo ottimo fine prossimo, che è il fratello da amare e servire, dalla carenza di quei beni che sono indispensabili alla vita presente, cioè dalla miseria, dalla fame, a cui è dovere, è carità, provvedere....
Il discepolo di Cristo, alla sua severa scuola di povertà, scorge un rapporto meraviglioso fra povertà e carità, si direbbe complementare, e non solo perché la prima, cioè la povertà, ha bisogno di quel gratuito, spontaneo e gentile soccorso, ma perché chi ama è alla ricerca di chi possa ricevere i segni e i doni del suo amore, cioè la carità ha bisogno della povertà per esplicare l'energia di bene che le è propria". (novembre 1964)
Può mai il nostro tempo fregiarsi del titolo meraviglioso di 'solidale', quando non ve ne sono i segni? E tanta la speranza, che sorge – a volte – quando si ha notizia che i cosiddetti 'grandi della tela si riuniscono per cercare soluzioni e vie che colmino le sacche immense di miserie che non sono solo in Africa, ma in troppe parti del nostro mondo.
Ma ogni volta si ha l'impressione che da questi convegni esca solo un balbettio, che approda a poco. I Paesi cosiddetti 'ricchi' non sanno, non hanno saputo – o non vogliono? – farsi speranza per
tanti nel mondo che muoiono di fame. E turba la coscienza anche solo sapere e vedere che ogni giorno tanti sono condannati ad una morte così atroce ed ingiusta, quando tutti potremmo vivere dignitosamente, se solo si mettesse fine alla corsa del benessere di pochi e nascesse quella solidarietà o amore alla povertà, che si traduce nello spezzare il pane con tutti.... a cominciare da noi, da dove siamo, dove certamente c'è chi stenta a vivere.
Dovremmo ricordare sempre, carissimi, quanto Gesù dice a proposito del giudizio finale:
"Avevo fame e non mi avete dato da mangiare... andate via da Me, maledetti!'
`Avevo fame e mi avete dato da mangiare... venite benedetti dal Padre mio!: Facciamo nostra la preghiera di Madre Teresa di Calcutta:
"O Signore, affinché possiamo seguire il tuo esempio,
donaci la grazia di abbracciare la tua povertà
come il più grande di tutti gli impegni umani.
Rendici capaci di imitare nella nostra vita la povertà del nostro Altissimo Signore Gesù Cristo e della Sua amatissima Madre.
Aiutaci ad esercitare il controllo più severo su noi stessi
affinché non abbandoniamo mai questo impegno
a causa della nostra debolezza
o dei consigli e degli insegnamenti altrui."

Antonio Riboldi – Vescovo –

mercoledì 28 luglio 2010

 
25 luglio 2010
Lc 11,1-13

1 Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». 2 Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
Padre, sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
3 dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
4 e perdonaci i nostri peccati,
perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore,
e non ci indurre in tentazione».
5 Poi aggiunse: «Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte a dirgli: Amico, prestami tre pani, 6 perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti; 7 e se quegli dall'interno gli risponde: Non m'importunare, la porta è già chiusa e i miei bambini sono a letto con me, non posso alzarmi per darteli; 8 vi dico che, se anche non si alzerà a darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono almeno per la sua insistenza.
9 Ebbene io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. 10 Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. 11 Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? 12 O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? 13 Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!».

Questa preghiera è un rapporto diretto tra un "Tu" che è il Padre e un "noi" che è il nostro vero io, in quanto siamo in comunione con il Figlio e con i fratelli. La fraternità tra gli uomini si fonda unicamente sulla paternità di Dio. Di conseguenza, non si può stare davanti al Padre separati dal Figlio e dai fratelli: sarebbe negare la sua paternità proprio mentre lo chiamiamo "Padre". Per questo se non amiamo e non perdoniamo i fratelli, non amiamo il Padre e non accettiamo il suo amore e il suo perdono.
Tutto quanto chiediamo con questa preghiera al Padre, egli ce lo ha già donato nel suo Figlio e, quindi, la preghiera è aprire la nostra persona ad accogliere quanto Dio ha già realizzato per noi.
La preghiera è comunione con Gesù e con i fratelli per vivere la vera fraternità e la vera filialità in Cristo ed entrare nel dialogo di Gesù con il Padre. Nella preghiera troviamo la sorgente della nostra vita, il Padre; per questo, chi prega vive e chi non prega muore, secondo il detto di sant’Alfonso de’ Liguori: "Chi prega si salva e chi non prega si danna". E sant’Agostino ci insegna: "Chi impara a pregare, impara a vivere". Si impara a pregare pregando Gesù perché ci insegni a pregare: "Signore, insegnaci a pregare" (v. 1). Solamente imparando da Cristo, i cristiani pregano da cristiani, figli del Padre e fratelli di Cristo, e vivono secondo il vangelo.
La preghiera insegnataci da Cristo ci rivela la nostra vera identità di figli nel Figlio. Il Padre ci ama come ama il Figlio; ci ama più di se stesso: "Egli non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi" (Rm 8,32).
Avvolti dalla tenerezza di questo amore infinito, possiamo vivere nella serenità e nella fiducia. L’olio e il vino che guariscono le nostre ferite mortali (cfr Lc 10,34) è l’amore di Dio riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è stato dato (cfr Rm 5,5). Dio sarà sempre nostro Padre, perché il Figlio si è fatto per sempre nostro fratello.
"Sia santificato il tuo nome" significa glorificare la persona del Padre nella nostra vita, dando a lui l’importanza che ha e, di conseguenza, amandolo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutte le forze.
Il nome di Dio è santificato quando accogliamo il suo amore e la sua paternità e accettiamo di essere suoi figli senza paura del nostro limite e della nostra morte. Chi rifiuta la paternità di Dio cerca di essere padre a se stesso, glorificando il proprio nome. Da questo rifiuto, che è la radice del peccato, nasce l’orgoglio e l’ansia, la paura che ci allontana da lui e ci divide tra noi, la voracità che ci separa dai fratelli e distrugge il creato. Tutti quelli che cercano la propria gloria, non possono credere in Gesù e quindi rifiutano anche il Padre: "Come potete credere, voi che prendete la gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo?" (Gv 5,44).
"Venga il tuo regno". Il regno di Dio è la liberazione dal potere del diavolo e dalla dannazione eterna; è la sovranità di Dio nostro Padre che ci libera da ogni schiavitù e ingiustizia, da ogni inquietudine e tristezza.
Il regno di Dio è già venuto nella persona di Gesù, viene in ogni istante della nostra vita e della storia quando accogliamo Gesù, e verrà nella pienezza della sua gloria quando tutti gli uomini saranno figli del Padre e Dio sarà tutto in tutti (cfr 1Cor 15,28). Il regno di Dio viene ogni volta che accogliamo la misericordia e la compassione di Dio e doniamo ai fratelli la misericordia e la compassione ricevuta da Dio.
"Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano". Chiediamo al Padre il pane per la vita umana e per la vita divina, per la vita presente e per la vita eterna. Dietro ogni pane c’è la mano del Padre che ce lo porge come dono del suo amore.
Il pane "nostro" è dono del Padre per tutti i suoi figli e va condiviso con tutti i fratelli. Chi defrauda l’altro non gli è fratello e non si comporta da figlio di Dio.
Dopo il peccato, il pane va guadagnato con il sudore della fronte (Gen 3,19; 2Ts 3,6-13), diversamente è rubato. Il pane di cui l’uomo vive è l’amore di Dio, ed è concesso gratuitamente ad ogni figlio, anche indegno e perverso, perché Dio non ci ama per i nostri meriti ma per il nostro bisogno.
"Perdonaci i nostri peccati". Dio ci ha creato per dono del suo amore e ci ricrea col per-dono della sua misericordia. E questo secondo dono è più grande del primo, è un super-dono.
Il cristiano non è e non si crede un giusto, ma un giustificato. San Luca ha centrato giustamente tutto il suo vangelo sulla misericordia del Padre che si manifesta nella vita del Figlio Gesù. Il credente in Gesù perdona perché è stato perdonato da Dio. Chi non perdona, non conosce né il Figlio né il Padre. L’unico peccato imperdonabile è quello di chi non perdona e ritiene di non dover essere perdonato per questo. La cecità di chi si ritiene giusto (cfr Lc 9,41) e non conosce il perdono da dare e da ricevere, è il peccato contro lo Spirito.
Il cristiano non è perfetto, ma misericordioso; non è sicuro di non cadere, ma compassionevole verso chi è caduto. Per questo non condanna, ma perdona. La sola condizione per il perdono del Padre è il perdono dato ai fratelli.
"Non c’indurre in tentazione". Non chiediamo a Dio di non essere tentati, ma di non cadere quando siamo tentati. Anche a questo riguardo la parola di Dio ci rassicura: "Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via di uscita e la forza per sopportarla" (1Cor 10,13).
La tentazione più grande è quella di perdere la fiducia nel Padre. Il credente è tentato soprattutto dalla mancanza di fede nella misericordia di Dio: non riesce ad accettare che Dio sia così buono, soprattutto nei confronti degli altri. Ma la vittoria che ha vinto il mondo è proprio la nostra fede nell’infinita misericordia di Dio.
La parabola sull’efficacia della preghiera (vv. 9-13) è un commento al v. 3: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano". Ci esorta a una preghiera coraggiosa, a una fede senza esitazioni. Potrebbe essere riassunta con il detto ebraico, che recita così: "L’importuno vince il cattivo, tanto più Dio infinitamente buono".
Gesù ci assicura che Dio esaudisce ogni preghiera. Egli non è sordo alle richieste dell’uomo. Non si nasconde davanti a lui. E questo, perché ama infinitamente l’uomo, suo figlio. Quindi il problema non esiste da parte di Dio ma, eventualmente, da parte dell’uomo. L’uomo prega solo se si sente veramente bisognoso: i sazi e i buontemponi non sentono il bisogno di pregare. La prima condizione per la preghiera è la consapevolezza della propria povertà.
L’unica condizione che Gesù pone per l’esaudimento delle nostre preghiere presso Dio è la fiducia, anzi, la certezza di essere ascoltati. Se l’uomo si commuove davanti alle necessità di un amico o di un figlio, tanto più Dio.
Le parole "molestia" e "importunità" sottolineano l’insistenza e il coraggio del richiedente. Se già gli uomini egoisti, falsi amici, ecc. alla fine si scomodano ed esaudiscono, quanto più dobbiamo avere piena fiducia in Dio. Egli non ci ascolta per togliersi d’attorno uno scocciatore, ma perché è il vero nostro amico: è il nostro papà.
Le preghiere rivolte a Dio possono assomigliare a quelle di un figlio verso il padre umano. E’ impensabile che questi risponda con cattiverie alle richieste di cibo del figlio. Non c’è un padre così spietato tra gli uomini, tanto meno si può pensare che un tale comportamento sia possibile in Dio.
Gli uomini sono cattivi, Dio è buono. Se un padre umano, che è cattivo, sa dare cose buone a suo figlio, quanto più il Padre del cielo darà tutto, cioè lo Spirito Santo, a coloro che glielo chiedono.
Nel vangelo di san Matteo, Dio dà "cose buone" (7,11), cioè i beni della salvezza, in san Luca dà lo Spirito Santo, che è il Dono dei doni. La differenza tra i due testi è meno rilevante di quanto potrebbe sembrare.
L’uomo si raccomanda per il pane e Dio gli dona anche lo Spirito Santo, che è il Dono che contiene tutti gli altri doni.
Solo Dio può riempire il cuore dell’uomo. Egli ci dà "molto di più di quanto possiamo domandare o pensare" (Ef 3,20): si dona a ciascuno secondo il suo desiderio. L’unica misura del dono è data dal nostro desiderio: che desidera poco, riceve poco; chi desidera tutto, riceve tutto.
Il tema dominante è la paternità di Dio che si esprime nel dare. Noi dobbiamo chiedere non perché lui ignori il nostro bisogno, ma perché il dono può essere ricevuto solo da chi lo desidera. Quanti doni di Dio abbiamo rispedito al mittente!
Questo brano ci esorta a grandi desideri che ci fanno capaci di ricevere il dono più grande: lo Spirito Santo.
Quando il Padre sembra restio a dare, è perché non ci dà ciò che vogliamo, ma ciò che è giusto. Di solito chiediamo a Dio che soddisfi i nostri bisogni immediati e superficiali, ma egli vuol farci scoprire e colmare il nostro bene essenziale: essere suoi figli. Ci nasconde i suoi doni, affinché cerchiamo lui che è il Donatore.
Egli esaudisce sempre le nostre preghiere quando sono secondo la sua volontà; e ci fa proprio un grande piacere a non esaudirle quando non sono secondo la sua volontà, perché farebbe il nostro male.
Quando preghiamo succede sempre qualcosa di buono, anche se non sempre sappiamo che cosa.

sabato 17 luglio 2010




Omelia del giorno 18 Luglio 2010

XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

BETANIA, una lezione di vera amicizia


Il Vangelo di oggi è bello, tanto bello, perché ci svela un momento di intimità di Gesù con coloro a cui era unito da salda amicizia: un momento in cui, se vogliamo, si evidenziano due modi di essere amici, ossia di condividere la gioia di volersi bene.
Il primo è quello di farsi inondare dall'amicizia, come da un fiume in piena, che riempie l'anima, che vi si apre totalmente; l'altro quello di servire le necessità dell'amico e, quindi, in certo modo, per un momento trascurare il dialogo, per dedicarsi all'ospitalità: un'amicizia a doppio aspetto. Quale delle due parti avremmo scelto noi? in fondo, in qualche modo, è quella che, se siamo affezionati a Gesù, scegliamo ogni giorno. Confrontiamoci subito con il racconto che ci offre l'evangelista Luca: "Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti. Ma Gesù le rispose: Maria, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta” (Lc. 10, 38-42).
È una stupenda lezione di quel divino dono che è volersi bene e che si traduce, se va bene, in amicizia, in cui, più che dare, si riceve. Un dono di cui tutti abbiamo bisogno... ma è un dono che ha le sue regole. Mi ha letteralmente sconvolto, un giorno, la risposta ad una mia precisa domanda, fatta ad un folto uditorio di giovani. 'Esiste ancora tra di voi l'amicizia vera? Parlo dell'amicizia come di una limpida sorgente a cui puoi attingere nei momenti difficili, sicuro che non ti farà mai mancare acqua fresca, limpida, che toglie la sete della solitudine. Un'amicizia, insomma, che non è recita di superficiali parole, per descrivere un rapporto fatto di 'niente di profondo', solo un momento di compagnia in un viaggio - la vita - che non ha nessuna meta e non vuole neppure averne. Un'amicizia che non è occasione per accontentare il proprio egoismo, intesa a trarre tutti i vantaggi, senza la minima perdita. Un'amicizia, insomma, che è dono gratuito, libero, ricca di grandi contenuti, libera per costruire insieme fino all'eternità. Si può, insomma, - chiedevo - essere oggi ancora amici veri?
E la risposta pronta, secca, come una triste ma infallibile condanna, frutto di esperienze passate, fu: 'No. Oggi siamo talmente egoisti, pronti a rubare tutto dall'altro, fino a 'denudarlo' anche della sua dignità, come avviene spesso nelle amicizie tra ragazzi e ragazze'.
Ma non era e non è possibile accettare una tale posizione, sempre che si dia un senso pieno di verità alla parola amicizia.
È stato Dio stesso a dare senso a questa meravigliosa parola. Quante volte nella Bibbia appare sulla bocca di Dio la parola 'amico', rivolta ai suoi eletti, al suo popolo! E sarà lo stesso Gesù che nell'Ultima Cena la rivolgerà per ben due volte agli Apostoli, come a dire che era finito il distacco di Dio da noi, ed era iniziato il tempo meraviglioso dell'essere amici.
Così racconta Giovanni nel Vangelo: "Il mio comandamento è questo: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: morire per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate quello che comando. Io non vi chiamo più schiavi; perché- lo schiavo non sa quello che fa il suo padrone. Vi ho chiamato amici, perché vi ho fatto sapere tutto quello che ho udito dal Padre mio." (Gv. 15, 12-16)
Amici dì Dio – ed è davvero poco questo sentirsi 'amici di bio'? – un'offerta che indica quali rapporti passano o possono instaurarsi in una solida amicizia e per di più non con un amico qualsiasi, ma con Dio stesso! Incredibile offerta. Un'amicizia fondata su fatti concreti della vita, e non può essere diversamente. Un'amicizia in cui Dio svela il Suo pensiero e il Suo Cuore.
Come a dire: 'Ciò che il Padre è, ciò che io sono nel Padre e nello Spirito Santo, ora vi appartiene, ve l'ho fatto conoscere. E se è vero – come è vero – voi l'avete accolto come incredibile patrimonio della vita, dunque non potere essere più servi. Questi non hanno diritto a sapere le cose del padrone, devono solo servire, tagliati fuori dal cuore del padrone. Ma gli amici no: questi, una volta entrati nel Cuore del Padre, condividono tutto di Lui.' Che dono l'amicizia di Dio!
Sullo stesso piano dovrebbe stare la nostra amicizia.
Attraverso le nostre riflessioni sulla Parola di Gesù ci consentono di diventare grandi amici, perché condividiamo il dono di Dio. Quante volte ricevo il vostro grazie! E quante volte mi esprimete la vostra amicizia, proprio di chi condivide il tesoro della Parola di Dio e cerca di farla diventare spunto di amicizia. La Parola crea una comunione che va oltre lo spazio e il tempo, fino all'eternità.
Nel Vangelo di oggi, che racconta l'ospitalità data a Gesù dalle due sorelle, Marta e Maria, troviamo una stupenda lezione di due modi di vivere e siamo interpellati sulla necessità di coniugarli: contemplazione e azione. Amavano Gesù tutte e due…ciascuna a suo modo. Marta, come è nella logica, se vogliamo, dell'ospitalità, si dà da fare per apparecchiare un pasto a Gesù e ai suoi discepoli. Come donna di casa, diremmo noi, con la sua sensibilità, pensa all'amico ed ospite Gesù, da un punto di vista 'temporale', pratico. Una carità bella e necessaria verso il Maestro, che si affidava sempre alla bontà di chi incontrava.
Maria va direttamente al dono dell'amore che era Gesù e non prende parte alle fatiche di casa, per farsi nutrire dalla Parola e dall'amicizia di Gesù. Un'immagine di vita attiva e di vita contemplativa. Sembrano due mondi diversi, ma sono in realtà, o dovrebbero esserlo, le due 'facce' di chi ama.
E strano il delicato rimprovero di Marta fatto a Gesù, anziché a Maria: 'Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti.' Ma Marta sapeva bene che la causa dell'indifferenza della sorella era proprio la presenza stessa di Gesù. Altrettanto netta, ma istruttiva, la risposta di Gesù: `Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta.'
Un duetto che insegna a tutti come sia necessario essere contemplativi anche nell'attività, ossia dare il primo posto al pensiero e all'amore di Dio, il resto è carità, ma senza il primo è vuota di senso. Ho avuto modo di incontrare persone di grande valore, impegnate, che sapevano coniugare attività e contemplazione. Era l'8 maggio del 1968. Venne, per l'occasione, l'On.le Aldo Moro, in visita al Belice terremotato. Alle ore 11, nella Chiesa prefabbricata, in attesa della supplica alla Madonna di Pompei, vi era un'ora di adorazione eucaristica. Saputolo, il Presidente si recò nella chiesa e stette per un'ora intera in adorazione, in ginocchio, partecipando poi alla supplica... poi, con cuore aperto, visitò le famiglie, mostrando il disappunto, per le fatiscenti baracche. Ricordo l'ammirazione della gente che non espresse amare77:4 o polemiche, ma ammirava il suo modo di essere e qualcuno sottovoce diceva: 'E' un santo!'. Un altro personaggio che invitai a parlare alla mia gente fu l'On.le Meda (se ricordo bene il nome). Quando arrivò, si recò subito nella Madrice e stette in preghiera per quasi un'ora. Poi parlò alla gente che era stupita del suo modo di porsi e pregare. 'Questo sì che ci capisce!' era l'esclamazione di tutti. Ma ci sono ancora persone che sanno pregare così, come 'Maria', con semplicità, pur essendo le 'Marte' della politica? É noi?
E vorrei, come di consuetudine, offrire un pensiero di Paolo VI, sulla preghiera che è il cibo dell'anima, come era per Maria ai piedi di Gesù.
"Si prega oggi? – si chiede Paolo VI -. Si avverte quale significato abbia l'orazione nella nostra vita? Se ne sente il dovere? Il bisogno? La consolazione? La funzione nel quadro del pensiero e dell'azione? E quali sono i sentimenti spontanei che accompagnano i nostri momenti nella preghiera? La fretta, la noia, la fiducia, l'energia morale? Dovremmo innanzitutto tentare, ciascuno per conto nostro, di fare questa esplorazione e di coniare per uso personale una definizione della preghiera. E potremmo proporcene una molto elementare: la preghiera è un dialogo, una conversazione con Dio". (febbraio 1971)
Ricordo un anziano che spesso veniva in Chiesa e se ne stava solo in silenzio per molto tempo. Gli chiesi come pregava La risposta fu come quella di Maria: Non c'è bisogno che dica parole a Dio, sono sempre povere. A me basta stare in ascolto e Lui fa sempre sentire nel cuore la Sua voce'.
Così Madre Teresa rivolgeva la sua preghiera a Maria:
"Silenzio di Maria parlami, insegnami come posso imparare da te,
come te, a tenere tutte queste cose dentro il mio cuore.
Insegnami a pregare sempre nel silenzio del mio cuore come hai fatto tu.
Umiltà del Cuore di Maria, riempi il mio cuore, come hai insegnato a Gesù.
Insegnami, ti prego, a pregare come facevi tu con Tuo Figlio Gesù".

Antonio Riboldi – Vescovo –

domenica 11 luglio 2010

Omelia del giorno 11 Luglio 2010
 
XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)
 
E chi è il mio prossimo?
 
 
E' una domanda che 'un dottore della Legge' pone a Gesù, dopo che il Maestro aveva risposto ad un'altra domanda, che è davvero essenziale, non solo per chiarire quali debbano essere i rapporti tra di noi, senza fare distinzioni, ma soprattutto per 'avere le chiavi' della vita eterna.
E la domanda era: 'Maestro, che devo fare per avere la vita eterna?: Una domanda che dovremmo fare tutti a Gesù, e la Sua risposta è lapidaria. In poche parole riassume quale deve essere il nostro rapporto non solo con Dio, ma con chi ci è vicino, chiunque sia: 'Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?'. Il Suo interlocutore rispose: 'Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con -tutta la tua forza e con tutta la tua mente e amerai il prossimo tuo come te stesso. E Gesù: 'Hai risposto bene: fa questo e vivrai'. Ma quegli volendo giustificarsi ribadì appunto: 'E chi è il mio prossimo?
Un 'problema', questo, che potremmo porci tutti.
Viviamo in un tempo in cui ci si divide tra popoli, etnie, culture, diversità di situazioni. Basta pensare a quei fratelli che clandestinamente entrano nella nostra patria, fuggendo dalla fame o addirittura dalla violenza, e approdano da noi, in cerca, se non di amore, almeno di rispetto ed accoglienza.
Siamo stati anche noi, a suo tempo, emigranti in cerca delle stesse cose.
Quando ero parroco nel Belice, tanta gente, soprattutto giovani e uomini, abbandonavano la loro terra in cerca di lavoro. Nei primi anni del '900 stipati nelle navi come merce, partivano per l'America, impiegando giorni e giorni, in condizioni di estremo disagio. Venivano 'accolti' in una zona di Brooklyn e lentamente cercavano lavoro. Alcuni tornarono, ma molti si resero indipendenti, non solo, con il tempo acquisirono la cittadinanza americana, e alcuni o i loro figli fecero carriera.
Li andai a trovare e stetti con loro per un mese intero. In Canada c'era a Montreal una zona tutta italiana ed era chiamata 'Piccola Italia'.
Dopo la guerra, negli anni '50, iniziò la fuga verso il Venezuela. Protetti dall'allora Presidente, molto accogliente, seppero con un poco di fortuna creare anche lì, a Caracas, un quartiere 'italiano' e lentamente costruirono aziende specializzate in calzature, che poi vendevano viaggiando all'interno dello Stato.
Qualcuno tornò al paese, ma quasi tutti preferirono restare dove c'era possibilità di crearsi una vita dignitosa. Con l'intuito tipico della gente del Sud, che cerca il futuro, seppero creare tanti modi per `fare industria'.
Per due anni dedicai il tempo delle ferie a visitare i nostri in Germania e Svizzera, dove il lavoro c'era e quindi anche la possibilità di mandare a casa un guadagno per costruire casa e porre le fondamenta per un domani.
vero che per risparmiare vivevano con il minimo; a volte affittando stanze dove dormivano in tanti, oppure vivendo in baracche fatiscenti, in cui mancava anche l'indispensabile per un po' di decoro. Provai a restare con loro per due giorni, ma non riuscivo a riposare tanto erano maleodoranti. Vivevano 'tollerati', ma come braccia di lavoro necessarie e quindi accettati, seppur non accolti.
Ricordo che un giorno, visitando una città svizzera con alcuni di loro, fui accompagnato allo zoo. Ma non potemmo entrare perché sull'ingresso c'era scritto: 'Vietato ai cani e agli italiani'.
Veniva spontanea la voglia di ribellarsi, in nome della dignità che è un bene di tutti, ma ciò poteva tornare a danno di chi restava.
E non erano solo i siciliani che incontravo, ma anche lombardi, veneti. Forse ci siamo dimenticati, oggi, pensando a chi viene da noi, emigrando dal suo Paese, che i nostri nonni o padri ben conoscono che cosa significhi lasciare tutto per la propria famiglia e trovare... lavoro, forse, ma sfruttato e 'condito' di disprezzo.
Ma quel neanche tanto sottile e inconfessato razzismo, che è tra noi, mette alle spalle le nostre stesse 'radici' e, considerando gli emigranti come un 'pericolo per la sicurezza' - salvo poi 'usarli e sfruttarli' quando fa comodo - , usa l'orribile parola 'respingimento', quasi a voler tenere tranquilla la nostra coscienza.
Tranne, per fortuna, le CARITAS, che non considerano i 'presunti pericoli', ma guardano all'uomo, in carne ed ossa, in cerca di speranza e amore. Benedette CARITAS, che mostrano il cuore della Chiesa di Gesù!
Gesù, infatti, alla domanda del dottore della legge: `Ma chi è il mio prossimo?' risponde:
"Un uomo - notate 'un uomo', senza specificare apparenze esterne, se nere o bianche, se forestiero o altro: UN UOMO, come siamo tutti noi agli occhi di Dio, uguali e chiamati ad amare ed essere amati - scendeva da Gerusalemme a Gerico ed incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.
Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte della strada. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre Invece un samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e ne ebbe compassione Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino, poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: 'Abbi cura di lui e ciò che spenderai di più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?'. Gli rispose: 'Chi ha avuto compassione di lui'.
Gesù gli disse: 'Va' e fa anche tu altrettanto'." (Lc. 10, 25-37).
Stupenda parabola, che incide a caratteri d'oro quale sia la natura della carità. Gesù la descrive nello `avere compassione' e non fermarsi lì, ma tradurre la compassione in fatti concreti, che riportino a respirare la gioia della vita e fa del samaritano - che tra l'altro non era uomo stimato dai Giudei, perché veniva dalla Samaria, i cui abitanti si differenziavano nella fede, mentre per noi potrebbe essere una qualsiasi persona di cui avere poca fiducia.... - il simbolo della compassione verso chi sta male.
Ma partiamo da colui che Gesù definisce semplicemente 'un uomo', ossia uno qualunque, senza titoli: un uomo che andava per infatti suoi. Il suo viaggio viene interrotto da quelli che Gesù chiama `briganti', che lo derubano e lo abbandonano sulla strada semivivo, ossia uno la cui vita ormai dipende dal comportamento di chi passa vicino...
Quante storie potremmo raccontare di persone abbandonate sulla strada a causa dei loro simili o di situazioni difficili, che si sentono 'mezze morte'!
Ma è facile trovare chi abbia la bontà di fermarsi e accompagnarle con amore nella loro difficoltà, fino a ritrovare la serenità?
Si ha purtroppo la sensazione che troppi, di fronte al dolore di un fratello, 'vedano e passino oltre', come fecero il sacerdote e il levita.
C'è troppa indifferenza... questo è il grande male!
E quando la fede non è al servizio dell'amore, davvero non ha più contenuto.
Ormai questo nostro mondo, che pensa ai propri interessi, che è chiuso nei propri egoismi e profitti, non ha più tempo né cuore per chi soffre... a meno che la TV ci proponga casi di sofferenza a livello locale o planetario, che scuotono la nostra sensibilità, e ci fanno uscire dalla nostra indifferenza.
Non si può stare in questo mondo, tra la gente, in famiglia, come se nessuno esistesse al di fuori di noi! La natura stessa dell'uomo è fatta per essere l'uno completamento dell'altro.
La solitudine, l'indifferenza non ci onorano, ma anzi ci condannano.
Ringrazio davvero Dio che mi ha messo in situazioni difficili, dove sono stato mandato per il servizio pastorale. Nel Belice, a Santa Ninfa, il terribile terremoto che distrusse vari paesi, lasciando tutti senza casa e senza domani. Ero sconvolto quella notte e, guardando la cara Chiesa Madre, andata in briciole, chiedendomi e chiedendo a Gesù, anche Lui sotto le macerie, il perché di tutto quello sfacelo, venni improvvisamente chiamato da un giovane, che mi invitava ad aiutarlo a salvare i suoi cari, rimasti sepolti sotto la casa.
Da allora la mia vita fu da `samaritano', al punto da dimenticarmi, nei primi giorni, di mangiare.
Fu un medico che, vedendomi, mi richiamò alla realtà, invitandomi a prendere cibo e riposarmi con lui. E posso dire che da allora è stata una grazia ogni volta ho potuto 'farmi vicino', avere compassione di tanti che incontravo 'semivivi', per mille ragioni, sulla mia strada.
Non è necessario fare 'prodigi . I miracoli della carità devono essere il tessuto delle nostre giornate... una sola cosa ci è chiesta: lasciare che Gesù operi attraverso di noi, nei piccoli gesti, parole gentili, un sorriso, che Lui rende 'grandi' per chi li riceve
Ricordo una notte di Natale, dopo la Messa solenne, tutto parato, rientrando in sacrestia, mi accorsi che in un angolo c'era una ragazza che piangeva a dirotto. Mi fermai, la consolai.
Alcuni giorni dopo venne a trovarmi e dirmi: 'Grazie di essersi accorto di me. Ho capito cosa vuol dire avere a cuore gli altri'.
Ma credetemi è davvero, oltre che cristiano, profondamente umanizzante per noi, conservare occhi di attenzione per chi soffre e ha bisogno di qualcuno. Riempie la vita ed è segno che l'amore, ricchezza dell'umanità, è vivo e ci rende più veri.
E chissà quante volte anche voi, semplicemente leggendomi, avete trovato nelle parole di Gesù e nel mio povero, ma sincero, farmi vicino, per avere cura, un momento di sollievo.
Mi viene da dire a voi, carissimi - permettetemi di dirlo -: 'Siate samaritani', in famiglia, coi vicini, sul lavoro, con gli 'estranei' che incontrate, accogliendo l'invito di Gesù: 'Va' e anche tu fa' lo stesso!'
 
Antonio Riboldi – Vescovo –

venerdì 2 luglio 2010


Omelia del giorno 4 Luglio 2010

XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

La messe è molta ma gli operai sono pochi

E' molto bello leggere l'inizio della missione che Gesù affida a quanti Lo seguono, ossia portare la Buona Novella del Vangelo alla gente.

"Diceva loro: La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. Andate: Io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi".

Erano i primi tempi della missione di Gesù tra noi. Aveva la piena coscienza di essere stato mandato dal Padre per fare conoscere a tutti la Buona Novella.

Tutti sappiamo come al Padre stia a cuore la sorte di ogni uomo, al punto che non bada a sacrifici per restituirci la felicità con Lui, andata smarrita nel paradiso terrestre, anzi rifiutata, quando i nostri progenitori, accettando la tentazione del 'serpente', respinsero l'amore che Dio donava loro gratuitamente e per cui liberamente li aveva creati - anzi ci ha creati - a 'Sua immagine e somiglianza'. Sappiamo tutti come dopo quel rifiuto, 'Adamo ed Eva furono cacciati dall'Eden', senza avere più una ragione per la loro esistenza.

E tutti proviamo ogni giorno che senza l'Amore divino libero e gratuito, la vita non è più vita, anche se cerchiamo di mascherare questo nostro vuoto con il chiasso che ci offre il mondo: una vera evasione dalla nostra origine.

Che senso ha vivere senza amare e, soprattutto, senza essere amati?

Si rimane sconcertati dalle continue violenze che sentiamo ogni giorno, o per le guerre nel mondo o per la solitudine in cui troppi vivono, pur essendo tra tanta gente.

Un vuoto del cuore che spesso entra nelle famiglie, rendendo, quella che dovrebbe essere 'un'oasi d'amore', un vero calvario senza resurrezione. Ci assale un'infinita tristezza nel vedere l'uomo calpestato ovunque ed in ogni modo; l'uomo che privilegia alcuni ed emargina tanti altri e con la violenza impone la sua volontà con ogni mezzo, con il disprezzo dei più elementari diritti.

Una vera 'mappa' di insulti al diritto alla felicità come frutto dell'amore, che non lascia tranquilla la coscienza. Basterebbe osservare i vari Tg per assistere a cronache che parlano di violenze in ogni dove e, tante volte, nell'area sacra della famiglia.

Quante lacrime versiamo tutti, senza eccezioni, nel vederci ignorati o emarginati o non amati.

la grande nostalgia della nostra origine. Dio ci ha creati - ripeto - per essere amati e amare.

E questa grande sofferenza degli uomini raggiunge tante volte il cuore anche di noi 'pastori', che incrociamo la vita di tanfi, di ogni età ed estrazione sociale.

Capiamo allora quanto ci narra il Vangelo oggi:

"Il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: 'La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe. Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi; non portate borsa né bisaccia, né sandali, e non salutate nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate dite: pace a questa casa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà a voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate di quello che vi sarà messo dinanzi, curate i malati, che vi si trovano e dite loro: 'E' vicino il Regno di Dio. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: 'Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi: sappiate però che il Regno di Dio è vicino. Io vi dico che in quel giorno Sodoma sarà trattata meno duramente di quella città'.

I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: 'Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel Tuo nome.' Egli disse: 'Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore. Non rallegratevi perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli". (Lc. 10, 1-20)

Un Vangelo bello, ma duro. Bello questo andare per il mondo, anche di casa nostra, a portare la Buona Novella del Vangelo; terribile il rifiuto, che si può incontrare.

E’ ancora necessario, nei nostri ambienti, in cui tutti si dicono cristiani - una qualifica che dovrebbe esprimersi in segni di appartenenza a Gesù nella vita quotidiana ed è già questa testimonianza una missione nel nostro mondo senza fede - portare il Vangelo?

Che sia necessario lo dice l'incredibile ignoranza di troppi. Non conoscere la Parola di Gesù reca il grande danno di non poterla vivere. E allora su quale parola si fonderà la nostra vita, che ogni giorno è chiamata a dare risposte alla volontà di Dio che si esprime in mille modi?

Se c'è una cosa che mi appassiona è evangelizzare, ossia donare a tanti la Parola di Gesù.

Sono numerosi gli anni ormai che, chiamato da Gesù, da Lui mandato, come parroco e vescovo, ho `servito' questo dono.

Una passione che mi faceva 'inventare' tanti modi perché i fedeli a me affidati entrassero nel bello della Parola. Mi sono rimasti particolarmente cari gli incontri nei cortili della diocesi, dove insieme ai fedeli che partecipavano ci si allenava nella scuola della Parola.

Questi incontri a cielo aperto avevano l'aspetto non solo della missionarietà, ma della familiarità. Da quei centri di ascolto poi uscivano giovani o adulti che si impegnavano a continuare la stessa missione: 'Andate... ': era un messaggio che passava a tanti. Ancora oggi.

Così per me, anche se è faticoso, è sempre un grande dono sentirmi chiamato da tante comunità in tutta Italia, a portare la gioia della Parola.

È sempre una risposta all'invito del Maestro: 'Andate'.

E penso tante volte agli Apostoli, che non si stancavano di evangelizzare in tutto il mondo, con gioia (e questo davvero è un rimprovero alla nostra paura o silenzio) quando venivano insultati o incarcerati o picchiati. E che dire degli incredibili viaggi dell'Apostolo Paolo? La sua era vera passione in cui giocava tutto di sé, raggiungendo popoli e comunità, fino a Roma dove morì martire, ma anche facendo della sua casa un punto di riferimento per l'evangelizzazione.

Non possiamo che ammirare e incoraggiare i tanti missionari che sono nel mondo, non badando a sacrifici, fatiche, con la sola passione di fare conoscere Gesù.

Conosco un missionario, diventato mio amico, che vive in Perù. Insieme siamo riusciti a costruire una piccola chiesa dove aduna i fedeli. Lui ha una missione 'vasta' e per arrivare a questa piccola missione e incontrare i fedeli in quella che chiama 'la nostra cappella', deve sempre affrontare giornate di faticose trasferte.

Davanti a tanta generosità si sente davvero l'urgenza di dare una risposta a Gesù che oggi ci dice: `La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe. Andate: vi mando come agnelli in mezzo ai lupi'.

Di fronte ai tanti segni di risveglio dell'evangelizzazione – fra di noi, spero, e nel mondo – spunta un senso di gioia come quella cantata dal profeta Isaia:

"Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa quanti la amate.

Perché così dice il Signore: 'Ecco, io farò scorrere verso Gerusalemme, come un fiume, la prosperità; come un torrente in piena la ricchezza dei popoli; i suoi bimbi saranno portati in braccio, sulle ginocchia saranno accarezzati. Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò: in Gerusalemme sarete consolati". (Is. 66, 10-14)

Auguro a me, e a voi che mi leggete, che proviate la gioia di nutrirvi della Parola e fin dove potete e come potete donatela a chi vi è vicino. In fondo è fare sentire a tanti che Dio ci vuole bene e chiede solo che questo Bene venga conosciuto e accolto. Perché è triste non godere di un bene, perché non lo si conosce, quando può essere a portata di mano.

Mi permetterei di dire, a quanti sono superficiali, a quanti credono di vivere impunemente il rifiuto della Parola di Dio, trovando rimedio alla propria solitudine nella compagnia inaffidabile del mondo: carissimi ascoltate Dio che dichiara la sua amicizia, un'amicizia che è pronta a farsi piena condivisione di santità, felicità già qui e beatitudine futura.

Ma a chi già crede vorrei anche dire che è Notizia capace di ricreare la vita, quando ci si sente veramente bisognosi di essere infinitamente amati, trovando nell'amore l'annuncio della verità: `Dio ti vuole infinitamente bene, più ancora di tua madre e di qualsiasi persona'.

Voglio ricordare l'ultimo incontro con mia mamma, pochi giorni prima che morisse. Ero indeciso se starle vicino, perché gravemente ammalata, o adempiere a un impegno che avevo preso presso una parrocchia. Ho ancora negli occhi la sua volontà decisa che ritenne 'inutile' il mio starle vicino, dicendomi: 'Antonio, va'. La gente che ti aspetta ha bisogno di qualcosa di più, ha bisogno della Parola di Dio'.

Mi viene da suggerire la bella preghiera di Alexander Zino'ev, russo e ateo:

"Ti supplico, mio Dio, cerca di esistere almeno un poco per me.

Apri i tuoi occhi, ti supplico. Non avrai da fare nient'altro che questo: seguire ciò che succede ed è poca cosa, Signore.

Sforzati di vedere, te ne prego!

Vivere senza testimoni, quale inferno!

Per questo, forzando la mia voce io grido, io urlo.

Padre mio, ti supplico e piango. Esisti!".

Quanta fede... in uno che si professava ateo!!!

Antonio Riboldi – Vescovo –