venerdì 25 giugno 2010

Ti seguirò dovunque tu vada


Omelia del giorno 27 Giugno 2010

XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Ti seguirò dovunque tu vada

Sono giorni, questi, che per me sono 'memoria' della storia della mia vita al seguito di Gesù che, da ragazzo mi ha rivolto, come è nel Vangelo di oggi, la parola, per me allora misteriosa, poi divenuta vita donata: 'Tu sèguimi'.

Era il 28 giugno 1951 e venni ordinato sacerdote nella cattedrale di Novara con altri 30 giovani. Tanti! Era così serio il passo che facevo, da non riuscire neppure ad averne forse piena consapevolezza. Sapevo che la mia vita avrebbe assunto un significato di cui era difficile anche solo prevedere dove mi avrebbe portato o come si sarebbe svolta.

Ero impressionato da quanto stava accadendo in me con l'imposizione delle mani del vescovo sulla mia testa, mentre invocava lo Spirito Santo; dall'unzione delle mani, che allora venivano visibilmente legate da papà - che per la commozione non ebbe il coraggio di farlo e invitò mio fratello a sostituirlo - e dall'abbraccio del vescovo che mi aveva ordinato sacerdote. Momenti in cui risuonarono nella mia mente le parole che Gesù, da ragazzo, mi aveva rivolto: ' Tu, sèguimi'.

Lo avevo seguito presso i Padri Rosminiani, che avevano curato con discernimento spirituale la vocazione e, soprattutto, ci avevano dato una forma ione e preparazione seria... ma non potevo `sapere' che cosa avrebbe voluto dire, nella concretezza dell'esistenza, per me, 'essere prete secondo Dio'. Una sola cosa era richiesta: l'abbandono e la fiducia in Chi mi aveva scelto.

Ci pensò l'obbedienza a indicarmi il dove e il quando avrei dovuto seguire Gesù nella guida del Suo gregge: nel Belice, per 20 anni.

Ancora di più rimasi confuso quando il Santo Padre, Paolo VI, che mi aveva seguito con amore nel mio apostolato nel Belice terremotato, mi chiamò a essere vescovo della Chiesa e, ancora una volta, mi affidò una porzione del popolo di Dio, che è in Acerra.

Ambedue le chiamate non apparivano facili, ma quando si è chiamati da Dio e Lo si segue, contano poco le capacità: conta la piena disponibilità al servizio integrale di chi ci è affidato, senza mai risparmiarsi, mettendo in conto anche la possibilità di perdere la vita, come nel terremoto del 1968 o nell'impegno di lottare contro il male della criminalità organizzata, come accadde da vescovo.

Mi confortava - e posso confermarlo oggi con commozione - che non ero io a decidere di andare da qualche parte o a voler assumere incarichi, ma semplicemente 'seguivo' Chi mi precedeva, mi sosteneva ed operava di fatto, ossia Gesù.

Perché questo è il vero segreto di chi accetta di seguire Gesù, in qualunque circostanza o ministero: sa che non è solo e ha solo un impegno, cioè la fedeltà verso Chi l'ha chiamato e il desiderio e la volontà di offrire tutto l'amore di cui è capace a Dio e alle persone che gli sono affidate... il resto lo fa Lui!

Quando ripenso ai giorni della mia vita, a cominciare da quel 28 giugno 1951, non posso che ammirare quanto Gesù ha compiuto e dichiarare la mia povertà, grande povertà, con un'immensa gratitudine nel cuore.

Davvero Gesù quando chiama non ci lascia mai soli con il compito che ci ha affidato e solo Lui può di fatto realizzare; come ha detto Madre Teresa di Calcutta: 'sono una matita tra le mani di Dio con cui scrive la Sua storia'.

La strada è Lui ha tracciarla, a noi tocca solo seguire i Suoi passi: è quello che continuo a fare anche mediante internet, cercando di essere al vostro servizio.

Più che la mia fede o intelligenza so che è Lui a scrivere parole di vita in voi.

Io a Gesù ho solo da chiedere perdono se non sempre L'ho lasciato compiere tutto il bene, dando spazio alle mie debolezze, chiedendoGli la grazia di essere sempre più totalmente Suo.

Chiedo a voi tutti, carissimi, una preghiera di ringraziamento per questi miei anni di servizio al seguito di Gesù e che mi perdoni ciò che avrei potuto fare e non ho fatto o non faccio... anche se oggi mi è più difficile rispondere alle tante domande di essere tra voi, perché gli anni fanno sentire la fatica. Grazie di cuore e pregate per me, che sia fino alla fine uomo di Dio, dono che Lui fa all'umanità.

Il Vangelo di oggi racconta la storia di inviti fatti da Gesù a seguirLo, a cui vengono anteposte prima questioni private da risolvere e poi il rifiuto a 'lasciare tutto'.

Un 'tutto' che può capitare anche a chi non è chiamato a vocazioni speciali, come la mia, ma la cui vita è comunque già una risposta a quel disegno o vocazione personale - come può essere il matrimonio - che tutti riceviamo.

Cosi scrive Luca:

"Mentre stavano completandosi i giorni in cui Gesù sarebbe stato tolto dal mondo, egli si diresse decisamente verso Gerusalemme e mandò avanti i suoi messaggeri. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per fare i preparativi per Lui. Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto a Gerusalemme. Quando videro ciò i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: 'Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?: Ma Gesù si voltò e li rimproverò. E si avviarono verso un altro villaggio.

Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: 'Signore, ti seguirò dovunque vada. Gesù gli rispose: 'Le volpi hanno le loro tane egli uccelli del cielo il loro nido, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo".

Evidentemente il Maestro aveva colto nella domanda - e visto nel cuore - una quasi certezza di fare fortuna, ma chissà quale, seguendo Gesù. Ed è lo stesso per chi, anche oggi, vuole essere ministro nella Chiesa, e quindi chiamato, ma a volte mette in primo piano 'un tornaconto' personale, che non ha proprio senso in chi dona la vita a Gesù per servire i fratelli.

L'unico 'tornaconto' di un sacerdote è di saper 'farsi servo' come il Suo Maestro.

Inconcepibile anche solo pensare che essere prete possa essere un modo per 'fare fortuna' nel servizio. La grande lode che la gente riserva ai sacerdoti è proprio di donare sempre, senza pensare a se stessi. Diceva il beato Rosmini: 'La povertà è il muro di sostegno della Chiesa'. Del resto se essere ministro ha la sua bellezza è quella di farsi sempre dono ai fratelli ignorando se stesso. La gente si lascia affascinare da un sacerdote o vescovo che sappia donare tutto senza chiedere nulla. Diceva il Santo Curato d'Ars, patrono di tutti i sacerdoti:

`I vostri beni altro non sono che un deposito che il buon Dio ha messo nelle vostre mani; dopo il vostro necessario, il resto è dovuto ai poveri'.

Continua il Vangelo di Luca, evidenziando quello che è un poco l'atteggiamento di tanti alla Sua chiamata:

"Ad un altro disse: `Sèguimi. E costui rispose: 'Signore concedimi prima di andare a seppellire mio padre. Gesù replicò: 'Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Tu va' e annunzia il Regno di Dio!

Un altro disse: 'Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congeda da quelli di casa'.

Ma Gesù gli rispose: 'Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il Regno di Dio". (Le. 9, 51-62)

Può sembrare duro il linguaggio di Gesù davanti a chi chiede 'piccole proroghe' prima di seguirLo. Ma quando si è davvero stati scelti e chiamati occorre la prontezza nel seguirLo... tentennare è cercare scuse per dire di no. E la vocazione non ammette mai dei 'ne esige un sì, meditato, ma pronto. Se ci pensiamo bene è proprio la natura dell'amore che chiede un sì incondizionato e non accetta dubbi o altro, che sono dei nì inaccettabili. E la vocazione è una risposta d'amore all'Amore. Scriveva Paolo VI:

"Vocazione: è un problema di giovani che sappiano affrancarsi dal mondo, dal conformismo, per offrirsi a Cristo con l'ineguagliabile forza della loro intatta freschezza spirituale e diventare ministri e dispensatori dei misteri di Cristo, veri pastori di anime, sull'esempio di nostro Signore Gesù Cristo, Maestro, Sacerdote e Pastore.

Vocazione è una chiamata. È una libertà messa alla prova, forse alla più difficile, ma certo la più bella. È una voce che ha un duplice linguaggio: uno interiore, silenzioso, nel profondo del cuore, ma distinto, e, se autentico, inconfondibile, quello del Signore che parla per via dello Spirito Santo; l'altro esteriore, rassicurante, sempre buono e materno, quello del Pastore.

È una voce che dice: vieni! e che passa, come un vento profetico, sopra le teste degli uomini, anche in questa generazione, la quale piena del frastuono della vita moderna, si direbbe sorda, ma non è così. La voce, oggi, dalle labbri di Cristo, si fa Nostra: è la voce della Chiesa che chiama. Grida nel deserto? Oh, no.

Fu il Signore stesso ad insegnarci a sperare anche in ordine a questo misterioso problema: 'Pregate il Padrone della messe perché mandi operai nel Suo campo' Mt. 9,28" (aprile 1969)

Con Madre Teresa di Calcutta preghiamo:

"Ti ringraziamo, Dio, per il dono di Cristo tuo Figlio e nostro Redentore.

Lo Spirito Santo discenda sul Tuo popolo

e faccia sentire il Tuo dolce invito.

Signore del raccolto, concedi alla Tua famiglia,

in ogni parte del mondo, il dono di molte vocazioni, affinché ai bisognosi

sia dato di conoscere la Buona Novella della Redenzione.

E così possa il Tuo Amore crescere tra noi e diffondersi in tutto il creato."

Antonio Riboldi – Vescovo –

sabato 19 giugno 2010


Omelia del giorno 20 Giugno 2010

XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Chi sono io secondo la gente?

Se c'è una ragione, anzi un dovere meraviglioso, nello scrivere ai miei carissimi lettori (e siete davvero tanti, suscitando in me stupore, gioia e ringraziamento) è quello di fare conoscere davvero in profondità il Figlio di Dio, ossia Gesù.

Il più delle volte noi ci conosciamo superficialmente, la nostra conoscenza viene dal nome, dal volto, ma raramente scende in profondità.

Conoscere in profondità una persona è davvero entrare nel santuario della vita, che tante volte sfugge a noi stessi, quando vogliamo sapere chi siamo.

E quante volte, di fronte a scelte o atteggiamenti incomprensibili anche a noi stessi diciamo: `Non mi capisco', che è quanto dire non mi conosco.

Ma una vera amicizia si fonda sulla conoscenza dell'altro: ed è il dono proprio dell'amicizia, che porta poi a confidarsi e così sciogliere reciprocamente i dubbi e, soprattutto, se abbiamo chiara la natura della nostra vita, condividere le scelte del bene e di ciò che è giusto.

Le persone che si amano davvero sanno cosa significa 'conoscersi'. Non hanno bisogno di tante parole... basta uno sguardo e l'occhio diventa specchio dell'anima.

Ma come è difficile 'conoscersi'.

E come è facile e dannoso dare giudizi su persone senza cogliere in profondità il loro vero `volto'. Da una cattiva conoscenza nascono solo giudizi e comportamenti che fanno male. Se succede così tra noi, cosa possiamo dire oggi della nostra conoscenza profonda di Chi davvero chiede di entrare nella nostra vita come amico, conoscendoLo?

E questo è ciò che chiede, oggi come ieri, Gesù.

Ci sono anime innamorate di Lui e dalle loro parole si coglie la profonda comunione e passione che li unisce: ci si vuole bene.

E vi può essere una conoscenza di Gesù che non sia guida alla santità e alla gioia? Così un giorno S. Ambrogio si esprimeva:

"Tutto abbiamo in Cristo. Tutto è Cristo per noi. Se tu vuoi curare le tue ferite, Egli è Medico. Se sei ardente di febbre, Egli è la Fontana. Se sei oppresso dall'iniquità, Egli è Giustizia. Se hai bisogno di aiuto, Egli è Vigore. Se temi la morte, Egli è la Vita. Se desideri il cielo, Egli è la Via. Se rifuggi dalle tenebre, Egli è la Luce. Se cerchi cibo, Egli è Alimento". (De verginitate)

Dovere di ogni credente, per essere tale, deve essere una continua ricerca della conoscenza di Gesù... diversamente come Lo si può amare e seguire?

È davvero urgente e necessario chiederci: 'Ma Chi è Gesù per me? Cosa conta nella mia vita? O meglio, è la guida e il senso della mia vita?

È il Vangelo di oggi che ci provoca ed a cui siamo chiamati a dare una risposta:

"Un giorno Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i suoi discepoli erano con lui e pose loro questa domanda: 'Chi sono io secondo la gente?",

Ed essi risposero: 'Per alcuni Giovanni Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto'.

Allora domandò: 'Ma voi chi dite che io sia?. Pietro, prendendo la parola rispose: Cristo di Dio. Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno.

`Il Figlio dell'uomo - disse - deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, essere messo a morte e risorgere il terzo giorno'.

Poi a tutti diceva: 'Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita la perderà e chi perderà la propria vita per me, la salverà". (Lc. 9, 18-24)

Quella di Pietro è una vera professione di fede, di uno che, vivendo accanto al Maestro, ha imparato a conoscerLo e, ispirato dallo Spirito Santo, ne annuncia l'identità.

Una confessione che viene certo dalla esperienza di stare insieme a Gesù, dell'essere stato scelto da Lui e di averne gustato l'amicizia.

"Sì - afferma Paolo VI - tutto è Cristo per noi. Ed è dovere della nostra fede, bisogno della nostra umana coscienza ciò riconoscere, confessare e celebrare....A Lui è legato il nostro destino, a Lui la nostra salvezza".

Ma Gesù non si accontenta di essere riconosciuto per quello che è: se davvero è la via, la verità e la vita, non resta che seguirLo.

Non basta fermarci alla conoscenza. Questa è sempre legata, per sua natura, all'amore, se per conoscenza intendiamo 'entrare nel profondo' della vita di chi si ama o si vuole amare, Direi che conoscere e seguire sono due verbi inseparabili.

Certamente è per questa mancanza di conoscenza profonda di Gesù, che non si trova la gioia, il desiderio di stare con Lui, di interpretare la vita, qualunque sia, nel desiderio di seguire Cristo. Chi questo lo fa non può non conoscere speranza, verità e gioia.

Non a caso il Vangelo collega la 'confessione' dell'identità di Gesù con l'invito a seguirlo. Deve essere la scelta di chi davvero è cristiano.

"Quale scelta? - si chiede Paolo VI - Quella di Cristo. State a sentire. Voi avete già scelto. Voi siete cristiani. Ma quali cristiani siete voi? Essere cristiani non è cosa da poco: vuol dire essere già inseriti nel dramma della salvezza; vuol dire avere già una concezione del mondo e della propria esistenza, della storia passata; vuol dire avere un programma impegnativo di vita, cioè credere, operare, sperare, amare. Ebbene, quali cristiani siete voi? Non conta guardare a come si comportano tanti cristiani. Bisogna che ciascuno badi al proprio comportamento.

Vi è una categoria di cristiani che spesso senza nemmeno pensarci sceglie un comportamento `zero'. Chiamiamo 'zero' quel comportamento che non dà alcun peso, alcuna importanza al fatto di essere cristiani. Cioè: è un comportamento nel quale il carattere cristiano non significa nulla. Nei Paesi di missione questo non avviene: un cristiano è cristiano e sa di dover vivere in una certa maniera, con un certo stile che lo distingue, che lo qualifica.

Da noi avviene e spesso che l'essere cristiano non significa nulla, zero. Anzi spesso un cristiano è una contraddizione vivente, perché egli contraddice con la propria maniera di pensare e di vivere come figli di Dio, fratelli di Gesù Cristo, essere come lampada accesa in cui arde lo Spirito Santo, ossia un uomo che sa come vivere e dove va....

Ci sono poi anche uomini disponibili alle idee altrui, pronti a chinarsi al dominio dell'opinione pubblica, uomini dal rispetto umano, uomini, direi, 'pecora'. Purtroppo è un fenomeno diffuso nella gioventù e si spiega: vuole mostrarsi forte e indipendente, vera, all'ambiente che conosce, la famiglia, la società. ne vede i difetti e cerca di affrancarsi. Si intruppa con chi conduce il gioco e fa la moda, e diventa un 'numero mediocre' senza un proprio valore.

Ma viene il momento in cui bisogna essere 'persone', cioè uomini, donne, che vivono secondo dati principi. Secondo idee-luce.

Uomini, donne che hanno fatto la loro scelta e secondo questa scelta camminano. E questa è la categoria degna delle persone intelligenti e cristiane". (aprile 1971)

Parole dure, ma molto chiare per chi vuole essere coerente con la fede che professa.

E tutti sappiamo, o dovremmo sapere, che vivere una vita cristiana, che è un meraviglioso e necessario 'seguire Cristo', è fare oggi una scelta controcorrente.

Era la scelta che chiedeva con forza il Santo Padre ai giovani, nella Giornata Mondiale della Gioventù a Loreto. Essere gente che non ha paura di apparire 'diversa', ben lontana dal conformismo che toglie ogni bellezza alla persona; capaci di distinguersi per la coerenza e il comportamento da cristiani che viene sì, a volte, deriso, ma in fondo si stima e si finisce per desiderare di imitarli.

Ci sono in ogni città o paese luoghi dove i giovani si radunano in tantissimi.

Spesso regna sovrana la stessa mentalità... di non avere mentalità propria! Si ritrovano per non sentirsi soli, come quei ragazzi che mi dissero: 'Noi ci incontriamo senza conoscerci. Stiamo insieme senza amarci. Ci lasciamo senza rimpiangerci'.

la descrizione di che cosa significhi, spesso, essere nella società di oggi, senza una fede che ci renda persone vive e riconoscibili.

bella questa preghiera di Newmann, adatta oggi:

"Mio Signore e mio Salvatore, mi sento sicuro tra le tue braccia. Se tu mi custodisci non ho nulla da temere,

ma se mi abbandoni non ho più nulla da sperare.

Non so cosa mi capiterà fino a quando morirò, ma mi affido a Te. Ti prego di darmi ciò che è bene per me

e ti prego di togliermi quanto può porre in pericolo la mía salvezza. Non ti prego di farmi ricco, non ti prego di farmi molto povero, ma mi rimetto a Te interamente

perché Tu sai ciò di cui ho bisogno e che io stesso ignoro. Concedimi di conoscerTi, di credere in Te,

di amarTi, di semini e di vivere per Te e con Te

e di dare buon esempio a quelli che mi stanno intorno".


Mons. Antonio Riboldi

lunedì 14 giugno 2010


melia del giorno 13 Giugno 2010

XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Quell'amore che dà tanta pace

Veramente l'uomo non ha più dove riparare la sua intimità, che è poi il piccolo santuario dove solo Dio e chi ama può penetrare per amare, perdonare, capire, piangere insieme, se necessario.

La nostra intimità oggi non viene risparmiata da nulla e da nessuno.

Basta che per un momento di debolezza o distrazione si apra una fessura di questo nostro 'tempio' e subito si affollano i curiosi che sanno solo scandagliare il nostro 'fondo' come fosse un oggetto da museo, ma quello che è peggio, sanno anche costruire 'fole' che nulla hanno a che vedere con la verità e tanto meno con il rispetto doveroso per il santuario della coscienza di ciascuno.

E così, alle volte, la fessura che era ben poca cosa, diventa crollo dell'intera nostra dignità, fino a sentirci 'stracci' esposti al pubblico ludibrio, alla condanna, al disprezzo: 'stracci' che perdono la voglia di vivere, perché senza il rispetto dell'intimità, che è il luogo che Dio ci ha donato, per entrare in dialogo con Lui e i fratelli, non è possibile vivere serenamente.

Questo vizio di 'confessare la gente', di abbattere il santuario della persona, dove vive il segreto della vita, nella sua bellezza e a volte nella sua profonda miseria, oggi è diventato una moda.

Basta dare un'occhiata alle cronache dei mass media e notiamo subito che basta un sospetto o un indizio di corruzione, e tutto viene sbandierato, amplificato e, a volte, mistificato, alla pubblica opinione. Così facendo, non solo la persona viene additata al disprezzo, ma si ingenera l'opinione che 'sono tutti corrotti o cattivi' - gli altri, naturalmente! - al punto di dubitare di tutti e non trovare più motivi per mettere in luce il bello, tanto, che invece esiste.

Come a dare ragione al proverbio 'fa sempre molto rumore un albero che cade, ma non la foresta che cresce'.

È verissimo che il nostro cuore cerca di essere disperatamente capito, rispettato, amato, ossia cerca sempre di trovare qualcuno che lo abiti per aiutarlo a vivere, e ancora di più a risorgere, se è ammalato. Non si può vivere nel sospetto o nella disistima: l'uomo ha bisogno del respiro dell'amore e della stima, nonostante tutto...

Per questo teme la curiosità che è come avere migliaia di occhi sempre puntati addosso, più a sottolineare gli sbagli che a dare una mano di aiuto; teme l'indiscrezione, quel voler sapere a tutti i costi tutto di noi, ma per poi ignorare il bene e sottolineare il difetto o il male.

Lo stesso sacramento della Penitenza o Riconciliazione - ineffabile amore del Padre , come è presentato nella parabola del Figlio prodigo - finisce per essere percepito come una difficoltà nel dover svelare il male che è in noi, senza pensare alla grande gioia che viene dalla misericordia di Dio. È un poco come quando si è colpiti da un male fisico e si teme l'occhio del medico, per paura che trovi in noi una malattia che uccide.

Ma tutto questo è giusto? È sensato? No. Appartiene alla miopia degli uomini che disperatamente cercano a volte di trovare una mano che li sollevi dalla loro miseria morale e hanno paura di trovare un impietoso indice puntato e nessun spazio per l'amore, perché questa è spesso la situazione che si realizza nei nostri poveri rapporti umani.

La Parola di Dio, oggi, giunge come divina lezione di misericordia, che è il 'come' Dio ci ama, soprattutto quando abbiamo sbagliato. È un racconto che svela come il Cuore di Gesù accolga senza fare processi, e perdona, a differenza di chi vede e si scandalizza.

Ed è un grande dono 'entrare' nella bellezza del racconto del Vangelo di oggi, perché, non solo mostra quanto Dio sia davvero buono e misericordioso, ma ci mette in guardia contro le nostre miopie.

Un racconto `da incorniciare' nella nostra vita, per saper sperare quando ci si sente dispersi e si cerca la via della pienezza della vita e della gioia.

È bene leggerlo, abbandonandosi a tutta la sua dolcezza:

"In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco una donna peccatrice di quella città, saputo che Gesù era nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato, e stando dietro, presso i suoi piedi, piangendo, cominciò a bagnarli delle sue lacrime, poi li asciugava con i propri capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato.

A quella vista, il fariseo che lo aveva invitato, pensò tra sé: 'Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice'.

Ed ecco la stupenda risposta di Gesù, che legge nei cuori, anche nei nostri, sempre.

Gesù allora gli disse: 'Simone, ho una cosa da dirti. Ed egli: 'Maestro dì pure. 'Un creditore aveva due debitori: l'uno gli doveva 500 denari, l'altro 50. Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?'. Simone rispose: 'Suppongo quello a cui ha condonato di più'. Gesù gli disse: 'Hai giudicato bene'.

E volgendosi verso la donna, disse a Simone: 'Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non mi hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non ha dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai cosparso il mio capo di olio profumato, ma lei ha cosparso di profumo i miei piedi. Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, perché molto ha amato. Invece quello a cui si perdona poco è perché ama poco. Poi disse alla donna: 'Ti sono perdonati i tuoi peccati. Allora i commensali cominciarono a dire tra di loro: 'Chi è questo uomo che perdona anche i peccati?: Ma Gesù disse alla donna: 'La tua fede ti ha salvata: va' in pace'." (Lc. 7, 36/8,3).

Si rimane come immersi nello stupore dell'amore che Gesù ha per noi, cominciando da quelli che forse si considerano persi per le proprie colpe. Un vero mistero è il nostro convivere a volte nel male, fino ad abituarci, mentre forse nel profondo sentiamo il bisogno di incontrare Chi abbia il potere di riportarci alla gioia di una vita diversa, giusta.

Un vero sbaglio questo adattarsi al male, senza neppure cercare di guarire.

A differenza di quella donna, che vuole uscire dal ghetto della propria miseria e respirare la dolcissima aria dell'amore. E lei, la Maddalena, la troveremo sotto la croce, diventata testimone di chi, lasciandosi amare da Gesù, impara a stargli vicino per sempre, con un amore che sa di meraviglia.

Così scrive il sempre caro nostro Paolo VI:

"Anche Gesù vede e guarda a noi, che siamo della povera gente con tanti malanni.

Al paralitico che gli si presenta, davanti, spiega che vi sono delle paralisi anche più gravi e più costringenti di quella fisica. Tu hai molti peccati e io te li perdono! Gesù è il liberatore assoluto. Egli, dopo aver sollecitato in noi con questa sua luce, un esame di coscienza, per il quale si avverte la colpa ma pure la redenzione, entra nell'anima come un torrente di letizia, di bontà, di amore. `Se lo vuoi' - Egli ci conforta - io ti ridono l'integrità, l'innocenza, la grazia di sentirti veramente quello che devi essere, restituito alla tua statura, alla tua bellezza originaria, e come il Signore ti ha creato, a Sua immagine e somiglianza. Gesù è il divino artefice dell'ineffabile riscatto: si comprende allora il Vangelo. finché ci sarà un mondo travagliato dai propri peccati, miserie, infelicità, disperazioni, il Vangelo, proprio tra gli uomini, susciterà sempre un'eco che non potrà mai attenuarsi. Perché? Ma perché non solo è parola di verità, ma è pure luce di speranza che gli uomini non possono dare a se stessi. Che faremo noi, per cogliere qualche cosa di utile e salutare dalla odierna pagina evangelica? Cerchiamo di farci guardare dal Signore, di presentarci a Lui con sincera umiltà. E con l'esame di coscienza ci accostiamo al sacramento della Penitenza che davvero scruta nel nostro animo e ristabilisce la verità. Ognuno potrà affermare col gemito del dolore: non saprei guarirmi da me, ma se Tu vuoi, o Signore, basta una Tua parola". (Paolo VI)

Non resta a noi che affidarci all'Amore Misericordioso di Dio, con l'umiltà della Maddalena.

Ci aiuti il Signore a rompere quel ghiaccio nella coscienza, quel 'sentirci a posto', che ci impedisce di conoscere l'amore. E ci tenga sempre vicino a Lui. Vorremmo tutti, spero, avere il coraggio della Maddalena. Si può se abbiamo fiducia nell'Amore Misericordioso.

Con Madre Teresa di Calcutta preghiamo:

"Signore, ti prego, dacci la luce per vedere, a volte, la cupa profondità della tentazione e del male. Donaci il tuo amore, affinché possiamo intravedere la ricchezza che Tu hai preparato per noi. Infondici lo Spirito Santo affinché possa vedere che ho bisogno di Te, e mi ami

e ho ancora uno scopo nella vita: quello di trasmettere l'amore e la misericordia che hai per noi".


Monsignor Riboldi

sabato 5 giugno 2010


Domenica 6 giugno 2010

SS.MO CORPO E SANGUE DI CRISTO Anno C

Lc 9,11b-17

Dal Vangelo secondo San Luca

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

La prima moltiplicazione dei pani

Quando il popolo vide che Gesù si ritirava, osservò – come dice san Marco (6,33) –, quale direzione prendeva, perché in barca si allontanava verso il luogo deserto di Betsaida. La sua parola e il suo divino aspetto erano così affascinanti, e i miracoli che compiva così grandi che il popolo non seppe distaccarsene e – secondo san Marco (ivi) –, corse e lo prevenne nel luogo dove supponeva che Egli dovesse sbarcare. Viveva giorni di entusiasmo e di schietta fede, perché la propaganda ostile degli scribi e dei farisei non lo aveva ancora avvelenato. Sembra quasi di vederla questa turba devota, entusiasmata dai discorsi di Gesù, correre in grande gioia, e fare a gara nel passo, superando le balze della strada montagnosa, per trovarsi nuovamente da Gesù. Era dimentica di tutto, l’attraeva il Signore e correva, percorrendo un lungo cammino, senza pensare che si allontanava di più dai centri da cui era venuta. Gli stessi infermi si sforzavano di fare il cammino, sperando di ottenere la guarigione.

Quando Gesù vide quell’immensa moltitudine, nella quale solo gli uomini erano circa cinquemila, ne fu commosso; l’accolse con infinita amorevolezza, parlò del regno di Dio, e risanò tutti quelli che avevano bisogno di cura.

Può rilevarsi dal contesto che mentre Gesù parlava alle turbe e guariva gl’infermi, gli apostoli dovettero rifocillarsi. Essi, infatti, si erano appartati per questo dal popolo ed, andando in un luogo deserto per rimanervi poi in orazione, avevano dovuto portare con loro qualche provvista abbondante. Il non aver altro che cinque pani e due pesci, quando Gesù disse che provvedessero al popolo, fa supporre che avessero dovuto già cibarsi. Forse, proprio mentre mangiavano, notarono che il giorno declinava e che era necessario rimandare la turba perché avesse cercato, nei villaggi circostanti, vitto e alloggio.

È psicologico, infatti che uno noti per gli altri quello di cui si preoccupa per sé e compatisca negli altri quello che egli soffre; essi, stanchi dal viaggio e bisognosi di cibo, nel sedersi su qualche poggio a rifocillarsi ponderarono meglio che cosa significava essere stanchi e digiuni e, accostatisi a Gesù, lo esortarono a licenziare la turba perché si fosse provveduta, perché il giorno declinava e si stava in luogo deserto.

Gesù rispose alle loro insistenze, dicendo che avessero dato essi da mangiare a quella gente. Ma non avevano che cinque pani e due pesci e quel comando sembrò loro uno scherzo. Il Redentore, invece, non parlava per modo di dire: esigeva veramente che avessero provveduto al popolo facendo un atto di fede in Lui.

Non avevano già fatto miracoli in suo Nome?

Non avevano sperimentato, nella missione compiuta, quanto fosse stata feconda la loro fiducia?

Egli avrebbe voluto che il miracolo l’avessero fatto essi in suo Nome, perché avrebbe voluto accrescere il loro ascendente sul popolo, ai fini dell’apostolato. Ma non erano da tanto, e Gesù, compatendoli, volle che almeno avessero avuto fiducia in Lui, e ingiunse loro di far sedere la gente sul fieno, a gruppi di cinquanta. Fu così che essi poterono contare approssimativamente quanti uomini erano presenti, perché, raggruppandoli in cento comitive da cinquanta persone, notarono che la maggioranza erano uomini, pur essendovi parecchie donne e bambini. Gesù volle far constatare loro la grandiosità del miracolo, per sanare la sfiducia che avevano avuta in Lui, sia volendo far licenziare il popolo, sia non avendo fede di poterlo alimentare in suo nome.

Quando furono tutti seduti, il Redentore si fece portare i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo per mostrare a tutti che pregava, e li benedisse. Poi cominciò a spezzare sia i pani che i pesci, ponendo le porzioni nei panieri che gli apostoli avevano portati con loro, o che avevano domandati in prestito da qualcuno che li aveva. È evidente, dal contesto, questa circostanza, sia perché sarebbe stata lunghissima la distribuzione fatta pezzo per pezzo, sia perché nel Testo è detto esplicitamente che furono raccolti gli avanzi in dodici panieri.

Gesù spezzava il pane, e il pane cresceva di nuovo, di modo che da ogni pane ricavò più di mille porzioni, e da ogni pesce più di duemila e cinquecento porzioni.

Il pane veniva fresco e saporosissimo, poiché Gesù, quando mutò l’acqua in vino a Cana di Galilea, somministrò un vino di ottima qualità.

Era secondo la sua infinita generosità dare un cibo ottimo, come lo diede Dio nella manna del deserto agli Ebrei che emigrarono dall’Egitto. Forse Gesù stesso, prendendo il pezzo abbondante di pane, vi pose in mezzo la porzione di pesce. Nelle sue mani onnipotenti il pane e il pesce erano quasi come sementi vive che istantaneamente crescevano. Ciascuna particella, obbedendo alla sua volontà creatrice, diventava feconda di un’altra, quasi, diremmo, come in natura si generano le cellule nuove per gemmazione, e molto più velocemente di quello che non cresca in una notte il gigantesco fungo equatoriale.

Data l’enorme quantità del pane avanzato, si può supporre che Gesù abbia fatto le porzioni uguali per tutti, e naturalmente le donne, i bambini e chi aveva minore appetito ne mangiarono meno e ne lasciarono una parte. Forse di un pane faceva due parti, perché, dividendolo a metà, poteva più facilmente spezzarsi; una metà la dava agli apostoli con la metà di un pesce, e l’altra metà, cresciuta nelle sue mani, la spezzava nuovamente in due; l’ultima metà di ciascun pane e pesce la dava com’era. Se fosse così, ne verrebbe che dieci porzioni di pane e quattro di pesce furono cavate da ciò che avevano gli apostoli, e furono naturali, e che le altre furono miracolose. Dio, pur essendo generosissimo, non fa opere superflue, e Gesù utilizzò certamente i pani e i pesci che aveva.

Il miracolo fu grandioso, ma fatto con tanta prontezza e naturalezza che la gente e gli apostoli stessi, in quello stesso momento, non lo ponderarono. Il cibo miracoloso, poi, aveva con sé la grande benedizione di Gesù, e non poté non produrre anche nelle anime qualche frutto spirituale, almeno in quelle meglio disposte.

Certo, in quel momento regnava in quel luogo una grande pace, e satana doveva essere tanto lontano dall’insidiare quelle anime.

Nel deserto aveva preteso che Gesù oziosamente avesse mutato le pietre in pane; in questo altro deserto avrebbe voluto mutare quel pane in pietre, perché la sua invidia ringhia quando Dio ci benefica: ma l’onnipotenza di Gesù Cristo lo confondeva e dovette preferire inabissarsi nell’Inferno.

Gesù Cristo non volle operare il miracolo senza la cooperazione degli apostoli, e anziché far discendere il pane dal cielo, moltiplicò quello che c’era. Diremmo quasi che ci diede la proporzione della nostra cooperazione alla sua grazia: uno per mille, ovvero uno per duemila e cinquecento. Pretendere che Egli operi in noi senza il minimo della nostra cooperazione è un’illusione.

Egli moltiplicò il pane e i pesci per il cibo corporale, ma si può dire che prima aveva moltiplicato anche il pane spirituale, facendosi ascoltare da tutta quella massa di gente. La sua voce si doveva naturalmente disperdere in quel deserto, tanto più che il brusio della moltitudine, provocato dai bambini e da altri, doveva soffocarla; invece è evidente che l’ascoltarono tutti, diversamente non gli sarebbero andati dietro con tanta premura. Il popolo andò per ascoltare la divina Parola, trascurando le sue necessità, e Gesù vi provvide Egli stesso, mostrando così con i fatti che chi cerca il regno di Dio e la sua giustizia ha per sovrappiù, dalla Provvidenza, le cose temporali.

Il vivo Pan del cielo

Gesù Cristo, moltiplicando il pane e i pesci, simboleggiò una moltiplicazione più bella, quella del Pane eucaristico, quella del suo Corpo e del suo Sangue come sostegno nostro nel deserto della vita.

Nell’Ultima Cena, Egli operò come nel deserto: alzò gli occhi al cielo, spezzò il pane, lo diede ai suoi apostoli, moltiplicò in essi la sua Presenza sacramentale, conferì diede loro il potere di dare quel Pane di vita alle moltitudini sterminate delle cinque parti del mondo in tutti i secoli. Ogni giorno noi assistiamo a questo miracolo nella Santa Messa: Gesù ci parla dall’altare nel deserto della vita attraverso le grandi voci della liturgia; dopo averci parlato, ci fa sedere alla sua mensa e ci nutre di sé. Non dovrebbe mai avanzare questo Cibo di vita, e le pissidi dovrebbero sempre vuotarsi. Certo, se il popolo avesse capito appieno il miracolo che aveva avuto, avrebbe lasciato dodici panieri di avanzi? Ognuno avrebbe portato con sé, come preziosissima cosa, il pane miracoloso, per cibarsene ancora.

Rimangono piene le pissidi quando sono vuoti i cuori, e quando non s’intende l’immenso beneficio del Dono eucaristico. O caro Gesù, non permettere che ti siamo ingrati; donaci una grande fame del Pane di vita!

Sac. Dolindo Ruotolo