sabato 30 aprile 2011

Metti qua il tuo dito


Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 20,19-31. 
La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 
Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi».
Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo;
a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù.
Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!».
Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!».
Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!».
Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!».
Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro.
Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. 



Oggi è giorno di gran Festa!
Chiamo gran Giorno, oggi, perché, come a esaltare la gioia della Resurrezione del Cristo, la Chiesa proclamerà beato il caro, sempre più caro, Giovanni Paolo II, che tanti di noi hanno conosciuto, alla cui fede ci siamo nutriti, dietro il cui esempio abbiamo cercato di uniformare la nostra vita: un padre che, percorrendo fino alla fine le vie del mondo, ci ha sempre comunicato la bellezza della santità e l'ansia di testimoniarla a tutti.
Ho sempre nei miei occhi il suo sguardo attento e vigile, quando per un'ora dialogammo - cosa speciale e la dice lunga sulla nostra reciproca stima ed amicizia.
Che dono grande ora saperlo amico in Cielo! -
Così come ricordo l'incontro ad Ischia, nella sua visita all'isola. Ero di fronte a lui a tavola e non si stancava di salutarmi con la mano, come per comunicarmi il suo affetto. E ho stampate nel ricordo le parole che fece scrivere da Padre Stanislao, in risposta ad una mia lettera, proprio negli ultimi giorni di vita, il 29 marzo:
`Il Santo Padre, grato per gli auguri che gli ha inviato per la Santa Pasqua, le esprime viva gratitudine e riconoscenza ed è soprattutto grato per le preghiere. Questa particolare solidarietà è di grande conforto e aiuto per il suo ministero petrino e per superare la nuova prova che il Signore ha permesso'.
stata l'ultimo segno della profonda amicizia e stima che ho avuto il dono di vivere, per cui sono sicuro che oggi mi ricorda dal Cielo.
Per me, ripeto, è immensa gioia avere avuto come guida nel mio ministero episcopale Giovanni Paolo II. Un grande dono del Signore.
Ecco perché oggi sento gioia e nostalgia di averlo vicino per sempre in Cielo.
Dio sono conosce quanto mi sia stato di aiuto e vicino nei momenti difficili.
Che sia davvero grande festa oggi per tutta la Chiesa, ma anche per il mondo che, pur non credendo, lo ha stimato e visto come sicura guida nella storia.
Prega ancora per noi, per l'umanità tutta, caro Papa Giovanni Paolo II, e dal Cielo aiutaci ad avere la tua passione missionaria sulla terra, il tuo vigore apostolico, la tua profonda e grande santità.
Il Vangelo di oggi ci riporta l'incontro di Gesù Risorto con i suoi discepoli.
Dopo la crocifissione si erano nascosti per la paura: paura di fare la fine del Maestro, in croce, paura di avere forse sbagliato tutto, seguendo Gesù. Ma sono bastate poche ore dalla crocifissione, perché la loro paura venisse spazzata via dalla visita di Gesù, che torna tra loro 'RISORTO'!
"La sera dello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: 'Pace a voi. Detto questo mostrò loro le manie il costato. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: 'Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi. Dopo aver detto questo alitò su di loro e disse: 'Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi li riterrete, resteranno non rimessi'...
Un incontro che evidenzia come Dio voglia immediatamente dare corso alla Sua opera di conversione e di recupero di noi uomini, donando agli apostoli il mandato e la forza dello Spirito per esercitarla.
È in quel prezioso momento, che poi sarà confermato dalla Pentecoste, solennemente, che gli apostoli danno inizio alla Chiesa che siamo noi. È come se Dio non potesse più concedere spazio al nostro esilio lontani da Lui.
Grande momento! Anche se a qualcuno può parere impossibile, come fu per Tommaso, l'apostolo che incarna tanta nostra incredulità!
`Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: 'Abbiamo visto il Signore!:
Ma egli disse loro: 'Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi, e non metto la mano nel suo costato, non crederò'.
È l'atteggiamento di chi non crede nella parola di testimoni credibili, ma 'vuole vedere di persona'. Diremmo noi un pragmatico.
Stupisce come Gesù, non solo venga incontro a Tommaso, ma a tutti quanti di noi si trovano nel dubbio, di fronte ad eventi che alla ragione sembrano impossibili, come è la resurrezione. Un giorno anche noi risorgeremo: una realtà che, se non fosse vera, renderebbe vana e paurosa la stessa vita. In fondo tutta la nostra esperienza sulla terra, qualunque essa sia, dovrebbe essere essenzialmente un'attesa del giorno della nostra resurrezione!!
Ma Dio comprende la nostra debolezza e così ci viene incontro in mille modi... come per Tommaso. "Otto giorni dopo, erano di nuovo in casa e con loro c'era anche Tommaso. Venne Gesù a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: 'Pace a voi!: Poi disse a Tommaso: 'Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano e mettila nel mio costato, non essere più incredulo, ma credente!'. Rispose Tommaso: 'Mio Signore, mio Dio!'.
Gesù gli disse: 'Perché mi hai veduto hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno! (Gv. 20, 19-31)
È davvero grande la delicatezza di Gesù, che sa comprendere la nostra debolezza e viene incontro con la Sua Presenza. Così, l'apostolo Giovanni, che Gesù amava, testimone dell'irruzione di Gesù risorto che si mostra agli apostoli oppressi dalla paura, descrive il loro stato d'animo con un verbo che è proprio di chi ha la certezza che ciò che è accaduto distrugge la paura e apre il cuore ad ogni uomo, che teme la vita sia come un vicolo chiuso: `GIOIRONO AL VEDERE IL SIGNORE...
Da allora la prospettiva di tutti cambia: ora sappiamo, o dovremmo sapere, cosa significhi seguire Gesù, essere cristiani. Vuol dire passare per dove Lui è passato, rischiando di essere scherniti, flagellati, crocifissi, ma il terzo giorno risorgere. Vuol dire anziché fuggire... 'gioire nel vedere il Signore', sempre, in ogni situazione, in ogni momento bello o triste della vita.
È l'inspiegabile forza che si legge nella storia di tanti fratelli che non temettero e non temono il dolore, la malattia, il martirio... come pure le fatiche e contraddizioni quotidiane.
Noi, che abbiamo tanta paura di soffrire, restiamo impressionati dal martirio di tanti fratelli, affrontato cantando, come se andassero ad una festa e non verso una distruttiva sofferenza; dalla serenità di tanti fratelli che accettano il dolore con serenità e pazienza, nelle case o negli ospedali.
Sono situazioni impossibili da spiegare con la ragione, ma non con la forza del Risorto. È una gioia che dovrebbe accompagnarci sempre: “PACE A VOI”.
È davvero grande il dono della Resurrezione: 'IO SARÒ CON TE, SEMPRE! FINO ALLA FINE DEI TEMPI!', ci assicura Gesù.
Afferma S. Pietro nella prima lettera: 'Siate ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere per un po' afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più prezioso dell'oro, che pur destinato a perire, torni a vostra gloria e onore nella manifestazione di Gesù. Voi lo amate, pur non avendolo visto, e ora senza vederlo credete in Lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime". (Pietro, I lettera 1, 3-9)
A volte cí si chiede con amarezza perché tanti sono impenetrabili alla Grazia dello Spirito Santo (o almeno così appaiono). È davvero il mistero del male nel mondo, che non conosce la grande gioia della resurrezione. A volte, forse, c'è di mezzo l'incredulità, come quella di Tommaso: una vera mancanza di fiducia che indurisce il cuore.
Per noi, credere nella resurrezione, diventa un 'modo nuovo' di vivere: si sente che la nostra esistenza va oltre i ristretti orizzonti delle corte vedute e delle futili ambizioni umane.
Piace, oggi, festeggiando il beato Giovanni Paolo II, ricordare quando un giorno disse:
`Più mi faccio maturo di anni e di esperienze, e più riconosco che la via sicura per la mia santificazione, per il miglior successo del mio servizio alla Santa Sede, resta lo sforzo di ridurre tutto, principi, indirizzi, posizioni, affari al massimo di semplicità e di calma, con l'attenzione a potare sempre la mia vigna di ciò che è solo fogliame inutile e viluppo di viticci, ed andare diritto a ciò che è verità, giustizia, carità, soprattutto carità. Ogni altro sistema di fare, non è che posa e ricerca di affermazione personale che presto ti tradisce e diventa ingombrante e ridicola'.
Pensieri e propositi di un beato a cui guardiamo con affetto e intercessione.

Antonio Riboldi – Vescovo –

venerdì 22 aprile 2011

Testimone è chi ha visto il Signore: Pasqua 2011


 

Testimone è chi “ha visto” il Signore


Sono commoventi le parole appassionate con cui Giovanni inizia la sua lettera: “Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita… noi lo annunziamo anche a voi” (1 Gv 1,1-3). Un’esperienza invidiabile, ma irrepetibile la sua. Tuttavia, per divenire “testimoni” di Cristo, non è indispensabile aver camminato con Gesù di Nazaret lungo le strade della Palestina.
Paolo – che pure non ha conosciuto personalmente Gesù – è costituito testimone delle cose che ha visto (At 26,16) e riceve dal Signore quest’incombenza: “Come hai testimoniato per me a Gerusalemme, così è necessario che tu mi renda testimonianza anche a Roma” (At 23,11).
Per essere testimone, basta aver visto il Signore realmente vivo, al di là della morte.
Testimoniare non equivale a dare buon esempio. Questo è certamente utile, ma la testimonianza è un’altra cosa. La può dare solo chi è passato dalla morte alla vita, chi può confermare che la sua esistenza è cambiata e ha acquistato un senso da quando è stata illuminata dalla luce della Pasqua, chi ha fatto l’esperienza che la fede in Cristo dà senso alle gioie e ai dolori e illumina i momenti lieti e quelli tristi.
Proviamo a interrogarci: la risurrezione di Cristo è un punto di riferimento costante in tutti i progetti che facciamo, quando comperiamo, vendiamo, dialoghiamo, dividiamo un’eredità, quando scegliamo di avere un altro figlio… o riteniamo che le realtà di questo mondo non abbiano nulla a che vedere con la Pasqua?
Chi ha visto il Signore non fa più nulla senza di lui.

Per interiorizzare il messaggio, ripeteremo:
“Se il nostro cuore si aprirà alla comprensione delle Scritture, vedremo il Signore”.

Prima Lettura (At 10, 34.37-43)

34 Pietro prese la parola e disse: 37 “Voi conoscete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, incominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; 38 cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui.
39 E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, 40 ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse, 41 non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. 42 E ci ha ordinato di annunziare al popolo e di attestare che egli è il giudice dei vivi e dei morti costituito da Dio. 43 Tutti i profeti gli rendono questa testimonianza: chiunque crede in lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome”.

Questa lettura è presa dal quinto degli otto discorsi pronunciati da Pietro negli Atti degli Apostoli. La scena si svolge a Cesarea, nella casa del centurione Cornelio dove si è riunito un gruppo di pagani che stanno per ricevere il battesimo.
E’ prezioso questo brano perché, in sintesi, presenta la predicazione fatta nelle prime comunità cristiane. Ponendola sulla bocca di Pietro, l’autore intende conferirle l’autorevolezza e la garanzia dell’ufficialità. Vediamo quali sono i punti essenziali di questa predicazione.
Anzitutto essa richiama la vita di Gesù. Egli è passato facendo del bene e curando tutti coloro che erano vittime del male perché in lui operava la forza di Dio (vv.37-38). Viene indicato anche il luogo e il tempo in cui questa sua attività ha avuto inizio: tutto è cominciato in Galilea dopo il battesimo predicato da Giovanni. Ciò che è accaduto prima – la sua infanzia e la giovinezza trascorse a Nazareth – interessa la nostra curiosità, ma non costituisce il punto di riferimento per la nostra fede.
Pietro sottolinea fatti concreti, verificabili, noti a tutti, perché la fede cristiana non si basa su elucubrazioni esoteriche o su un personaggio della mitologia, ma fa riferimento a un uomo concreto, vissuto in un luogo e in un tempo ben precisi.
Ci aspetteremmo che Pietro facesse almeno un accenno anche all’annuncio della Buona Novella, invece egli si limita a sottolineare la trasformazione concreta del mondo realizzata da Gesù. Essa basta per provare che ha avuto inizio una realtà nuova.
Il secondo punto della predicazione è quanto gli uomini hanno fatto: non hanno riconosciuto in Gesù l’inviato di Dio e lo hanno ucciso inchiodandolo ad una croce (v.39).
Dio come ha reagito? Egli – dice Pietro – non poteva abbandonare il suo “Servo fedele” prigioniero della morte, per questo lo ha risuscitato. La sua opera si oppone a quella degli uomini, che danno la morte, portano verso il sepolcro.
Dio è colui che risolleva e conduce alla vita. Questo è l’articolo fondamentale della nostra fede (v.40).
Infine viene indicata la missione dei discepoli: essi sono testimoni di questi fatti (v.39.41) e sono inviati ad annunciare e attestare che Gesù è stato costituito giudice dei vivi e dei morti (v.42). Questa verità fa parte del “Credo” e non è una minaccia, ma un messaggio lieto. Gli apostoli devono dire a tutti che Gesù non è un giudice che condanna, ma il modello con il quale Dio confronta la vita di ogni uomo, dichiarandone la riuscita o il fallimento. Non c’è un’istanza superiore. I Giudei non potranno appellarsi alla loro fede in Dio o all’osservanza della legge. Il punto di riferimento stabilito da Dio non sono la legge, le tradizioni, né qualunque altro criterio umano, ma è Gesù e soltanto Gesù.
Gli apostoli sono suoi testimoni perché sono stati con lui, hanno mangiato e bevuto con lui, hanno udito i suoi insegnamenti e hanno visto i segni da lui compiuti. Non sono testimoni per la loro vita esemplare, ma in quanto hanno fatto un’esperienza unica che sono in grado di riferire a chiunque li voglia ascoltare con onestà e purezza di cuore.


Seconda Lettura (Col 3,1-4)

Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria.

Scrivendo ai cristiani di Colossi, Paolo ricorda loro che, nel giorno del battesimo, essi sono nati ad una vita nuova, vita che ha la sua piena realizzazione non in questo mondo, ma nel mondo di Dio.
La fede in questa vita nuova è ciò che differenzia i credenti dagli atei, i quali sono convinti che l’uomo, contando unicamente sulle proprie forze, riesce a raggiungere la salvezza in questo mondo.
Non è difficile rendersi conto che, anche se venissero risolti tutti i problemi materiali, ci fosse cibo per tutti, il dolore e la malattia fossero vinti, pure allora rimarrebbero delle domande irrisolte nell’intimo del cuore dell’uomo: perché vivo e perché muoio? Da dove vengo e dove vado?... Solo Cristo morto e risorto dà una risposta soddisfacente a questi interrogativi.
Paolo non dice che i cristiani non devono interessarsi delle realtà di questo mondo. Essi lavorano e s’impegnano come gli altri. Tuttavia sono convinti che la pienezza di vita non può essere raggiunta qui (v.2).
Le opere buone non possono mancare – dice la lettura – sono una manifestazione della vita nuova, sono segni della sua presenza. Sono come i frutti che possono spuntare e crescere solo su un albero vivo e rigoglioso.


Vangelo (Gv 20,1-9)

Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”.
Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo, e si recarono al sepolcro.
Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti.

 “Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro. Era ancora buio...” (v.l). In queste prime parole del Vangelo del giorno di Pasqua si percepiscono, quasi si respirano i segni della vittoria della morte. Sulla terra tutto è silenzio, immobilità, quiete, ed una donna, sola ed impaurita, si muove nell’oscurità della notte. La morte sembra dominare incontrastata e il silenzio e il buio ne celebrano il trionfo. Il potere, il principio della forza, la discriminazione, l’ingiustizia, il lievito dell’astuzia sembrano aver avuto definitivamente la meglio sulle forze della vita.
Vediamo invece cosa accade quando Maria scorge il sepolcro vuoto: la scena cambia come d’incanto. Colti da un improvviso fremito, tutti i personaggi si scuotono dal loro torpore e prendono a muoversi rapidamente: “Maria di Magdala corre da Simon Pietro... che si precipita fuori con l’altro discepolo... Corrono insieme, ma l’altro discepolo corre più veloce...” (vv.2-4). Cogliendo tutti di sorpresa, il giorno dopo il sabato, la vita riesplode in tutta la sua forza. Dio è intervenuto e ha spalancato il sepolcro, ma la Maddalena ancora non lo sa, pensa che il cadavere sia stato trafugato. La sua è una reazione naturale e spontanea, è il primo pensiero che attraversa la mente di chiunque s’imbatte in una tomba vuota.
Ci si può fermare a questa prima constatazione o si può continuare a cercare un senso a ciò che si constata. Di fronte alla morte ci si può rassegnare e piangere o aprire il cuore alla luce dall’alto.

La Maddalena esce momentaneamente di scena ed è come se passasse il testimone, nella corsa verso la fede, ad altri due discepoli. Uno è ben noto, Pietro, l’altro non ha nome. In genere si dice che si tratta dell’evangelista Giovanni. Ma questa identificazione è avvenuta molto tardi, circa cent’anni dopo che l’apostolo era morto. Può darsi che fosse lui il discepolo che Gesù amava, tuttavia, nel Vangelo di Giovanni, questa figura ha certamente anche un carattere simbolico che è opportuno cogliere.
Questo discepolo senza nome è sempre legato in qualche modo a Pietro:
- entra in scena accanto ad Andrea. I due un giorno vedono Gesù passare, gli chiedono dove abita, lo seguono e rimangono con lui tutta la notte. Che c’entra Pietro? C’entra perché il discepolo senza nome arriva a Gesù prima di lui (Gv 1,35-40);
- di questo discepolo non si parla più fino all’ultima cena quando Gesù dichiara che fra i dodici c’è anche un traditore. Chi lo scopre? Chi sa riconoscere chi sta dalla parte di Gesù e chi invece è contro di lui? Non Pietro, ma il discepolo senza nome che reclina il capo sul petto del Signore (Gv 13,23-26);
- durante la passione, mentre Pietro si ferma e rinnega il Maestro, il discepolo senza nome ha il coraggio di seguirlo, entra nella casa del sommo sacerdote e sta vicino a Gesù durante il processo (Gv 18,15-27);
- sul Calvario Pietro non c’è, è fuggito. Il discepolo che Gesù ama invece è con il Maestro, è ai piedi della croce con la madre di lui (Gv 19,25-27);
- poi viene il brano di oggi in cui Pietro è nuovamente battuto sia nella corsa materiale che in quella spirituale – come tra poco vedremo (Gv 20,3-10);
- sul mare di Tiberiade è ancora questo discepolo a riconoscere il Risorto nell’uomo che si trova sulla riva. Pietro se ne rende conto solo più tardi (Gv 21,7);
- infine quando è invitato da Gesù a seguirlo, Pietro non ha il coraggio di farlo da solo, sente il bisogno di avere al suo fianco “il discepolo che Gesù amava” (Gv 21,20-25).
Chi rappresenta dunque? Come mai non ha nome?
Rappresenta il discepolo autentico, quello che appena incontra Gesù non ha esitazioni, lo segue immediatamente, lo vuole conoscere, dimentica anche di dormire pur di stare con lui. Lo conosce al punto da scoprire subito chi sono i suoi amici e quali i nemici. Lo segue anche quando è necessario donare la vita. Non ha nome perché ognuno è invitato a inserire il proprio nome.

Vediamo questa coppia di discepoli correre al sepolcro. Il discepolo senza nome giunge per primo, si china, vede le bende per terra, ma non entra. Giunge anche Simon Pietro che entra, vede le bende per terra e il sudario che era stato posto sul capo di Gesù, non per terra con le bende, ma arrotolato in un luogo a parte.
Nulla di miracoloso, non c’è alcuna apparizione di angeli, ovunque si vedono solo i segni della morte. Forse i due discepoli hanno un’intuizione, quella formulata da Giovanni Crisostomo: “Chiunque avesse portato via il corpo, non lo avrebbe prima spogliato, né si sarebbe preso il disturbo di rimuovere e di arrotolare il sudario e di lasciarlo in un luogo a parte”. Il cadavere non è dunque stato trafugato.
Pietro si ferma, attonito e stupefatto. Constata, ma non riesce ad andare oltre. I suoi pensieri si bloccano davanti all’evidenza della morte. Il discepolo senza nome invece fa un passo in avanti: vede e comincia a credere (v.8). E’ il momento culminante del suo cammino verso la fede nel Signore risorto. Di fronte ai segni della morte (la tomba, le bende, il sudario...) egli comincia a percepire la vittoria della vita.

L’annotazione che segue accomuna i due discepoli: “Non avevano ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti” (v.9). Sembra illogica, almeno per quanto riguarda il discepolo senza nome. Ma, a questo punto, l’evangelista Giovanni non sta redigendo una fredda cronaca dei fatti, ma sta indicando ai cristiani delle sue comunità l’itinerario attraverso il quale si giunge alla fede. Si parte dai segni – quelli documentati dai Vangeli (Gv 20,30-31) – che però rimangono misteriosi e incomprensibili se non ci si lascia guidare dalla parola di Dio contenuta nelle sacre Scritture. Sono queste che spalancano la mente e il cuore e danno l’illuminazione interiore che svela il Risorto. Il discepolo autentico non ha bisogno di altre prove, non ha bisogno delle verifiche che esigerà Tommaso.
Gesù ha detto ai discepoli: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Chi ancora non crede considera un’assurdità, una follia il dono gratuito della vita, perché dietro questo dono vede solo i segni della morte. Alla luce della Pasqua invece, il discepolo autentico “comincia a capire” che la vita donata per i fratelli introduce nella beatitudine di Dio.
Il versetto conclusivo dell’episodio – i due discepoli “se ne tornarono di nuovo a casa” (v.10) – dà quasi l’impressione che tutto ritorni come prima. Ma non è così. I due hanno conosciuto Gesù, hanno verificato gli stessi fatti e visto gli stessi segni. Riprendono la vita di ogni giorno, ma uno continua scoraggiato e deluso, l’altro è guidato da una nuova luce e sorretto da una nuova speranza.

Padre Fernando Armellini

sabato 16 aprile 2011

La Passione di Gesù


Nutriamoci della Parola di Dio 17 aprile 2011


Vangelo (Mt 26,14-27,66)

14 Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti 15 e disse: “Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?”. E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. 16 Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnarlo.

17 Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: “Dove vuoi che ti prepariamo, per mangiare la Pasqua?”. 18 Ed egli rispose: “Andate in città, da un tale, e ditegli: Il Maestro ti manda a dire: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”. 19 I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.

20 Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. 21 Mentre mangiavano disse: “In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà”. 22 Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: “Sono forse io, Signore?”. 23 Ed egli rispose: “Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. 24 Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!”. 25 Giuda, il traditore, disse: “Rabbì, sono forse io?”. Gli rispose: “Tu l’hai detto”.

26 Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: “Prendete e mangiate; questo è il mio corpo”. 27 Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: “Bevetene tutti, 28 perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. 29 Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio”.

30 E dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. 31 Allora Gesù disse loro: “Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Sta scritto infatti: ‘Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge, 32 ma dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea”. 33 E Pietro gli disse: “Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai”. 34 Gli disse Gesù: “In verità ti dico: questa notte stessa, prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte”. 35 E Pietro gli rispose: “Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò”. Lo stesso dissero tutti gli altri discepoli.

36 Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: “Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare”. 37 E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo, cominciò a provare tristezza e angoscia. 38 Disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me”. 39 E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!”. 40 Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: “Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me? 41 Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”. 42 E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: “Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà”. 43 E tornato di nuovo trovò i suoi che dormivano, perché gli occhi loro si erano appesantiti. 44 E lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. 45 Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: “Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l’ora nella quale il Figlio dell’uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. 46 Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce si avvicina”.

47 Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo. 48 Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: “Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!”. 49 E subito si avvicinò a Gesù e disse: “Salve, Rabbì!”. E lo baciò. 50 E Gesù gli disse: “Amico, per questo sei qui!”. Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. 51 Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, messa mano alla spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote staccandogli un orecchio.

52 Allora Gesù gli disse: “Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. 53 Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? 54 Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?”. 55 In quello stesso momento Gesù disse alla folla: “Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare, e non mi avete arrestato. 56 Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei profeti”. Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono.

57 Or quelli che avevano arrestato Gesù, lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale già si erano riuniti gli scribi e gli anziani. 58 Pietro intanto lo aveva seguito da lontano fino al palazzo del sommo sacerdote; ed entrato anche lui, si pose a sedere tra i servi, per vedere la conclusione.

59 I sommi sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano qualche falsa testimonianza contro Gesù, per condannarlo a morte; 60 ma non riuscirono a trovarne alcuna, pur essendosi fatti avanti molti falsi testimoni. 61 Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: “Costui ha dichiarato: Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni”. 62 Alzatosi il sommo sacerdote gli disse: “Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?”. 63 Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: “Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”. 64 “Tu l’hai detto, gli rispose Gesù, anzi io vi dico: ‘d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio, e venire sulle nubi del cielo”.

65 Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: “Ha bestemmiato! Perché abbiamo ancora bisogno di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; 66 che ve ne pare?”. E quelli risposero: “ È reo di morte!”. 67 Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri lo bastonavano, 68 dicendo: “Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso?”.

69 Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una serva gli si avvicinò e disse: “Anche tu eri con Gesù, il Galileo!”. 70 Ed egli negò davanti a tutti: “Non capisco che cosa tu voglia dire”. 71 Mentre usciva verso l’atrio, lo vide un’altra serva e disse ai presenti: “Costui era con Gesù, il Nazareno”. 72 Ma egli negò di nuovo giurando: “Non conosco quell’uomo”. 73 Dopo un poco, i presenti gli si accostarono e dissero a Pietro: “Certo anche tu sei di quelli; la tua parlata ti tradisce!”. 74 Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: “Non conosco quell’uomo!”. E subito un gallo cantò. 75 E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù: “Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte”. E uscito all’aperto, pianse amaramente.

27,1 Venuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù, per farlo morire. 2 Poi, messolo in catene, lo condussero e consegnarono al governatore Pilato.

3 Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d’argento ai sommi sacerdoti e agli anziani 4 dicendo: “Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente”. Ma quelli dissero: “Che ci riguarda? Veditela tu!”. 5 Ed egli, gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi. 6 Ma i sommi sacerdoti, raccolto quel denaro, dissero: “Non è lecito metterlo nel tesoro, perché è prezzo di sangue”. 7 E tenuto consiglio, comprarono con esso il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri. 8 Perciò quel campo fu denominato "Campo di sangue" fino al giorno d’oggi. 9 Allora si adempì quanto era stato detto dal profeta Geremia: E presero trenta denari d’argento, il prezzo del venduto, che i figli di Israele avevano mercanteggiato, 10 e li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore.

11 Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore l’interrogò dicendo: “Sei tu il re dei giudei?”. Gesù rispose “Tu lo dici”. 12 E mentre lo accusavano i sommi sacerdoti e gli anziani, non rispondeva nulla. 13 Allora Pilato gli disse: “Non senti quante cose attestano contro di te?”. 14 Ma Gesù non gli rispose neanche una parola, con grande meraviglia del governatore.

15 Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta. 16 Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba. 17 Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: “Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?”. 18 Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.

19 Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: “Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua”. 20 Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù. 21 Allora il governatore domandò: “Chi dei due volete che vi rilasci?”. Quelli risposero: “Barabba!”. 22 Disse loro Pilato: “Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?”. Tutti gli risposero: “Sia crocifisso!”. 23 Ed egli aggiunse: “Ma che male ha fatto?”. Essi allora urlarono: “Sia crocifisso!”.

24 Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell’acqua, si lavò le mani davanti alla folla: “Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!”. 25 E tutto il popolo rispose: “Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli”. 26 Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso.

27 Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la coorte. 28 Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto 29 e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra; poi mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: “Salve, re dei giudei!”. 30 E sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. 31 Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo.

32 Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prender su la croce di lui. 33 Giunti a un luogo detto Gòlgota, che significa luogo del cranio, 34 gli diedero da bere vino mescolato con fiele; ma egli, assaggiatolo, non ne volle bere. 35 Dopo averlo quindi crocifisso, si spartirono le sue vesti tirandole a sorte. 36 E sedutisi, gli facevano la guardia. 37 Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: “Questi è Gesù, il re dei giudei”.

38 Insieme con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.

39 E quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo: 40 “Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!”. 41 Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano: 42 “Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. È il re d’Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo. 43 Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!”. 44 Anche i ladroni crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo.

45 Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra. 46 Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: “Elì, Elì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. 47 Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: “Costui chiama Elia”. 48 E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere. 49 Gli altri dicevano: “Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo!”. 50 E Gesù, emesso un alto grido, spirò.

51 Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, 52 i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. 53 E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. 54 Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: “Davvero costui era Figlio di Dio!”.

55 C’erano anche là molte donne che stavano a osservare da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. 56 Tra costoro Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedèo.

57 Venuta la sera giunse un uomo ricco di Arimatèa, chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù. 58 Egli andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato ordinò che gli fosse consegnato. 59 Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo 60 e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò. 61 Erano lì, davanti al sepolcro, Maria di Màgdala e l’altra Maria.

62 Il giorno seguente, quello dopo la Parasceve, si riunirono presso Pilato i sommi sacerdoti e i farisei, dicendo: 63 “Signore, ci siamo ricordati che quell’impostore disse mentre era vivo: Dopo tre giorni risorgerò. 64 Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: È risuscitato dai morti. Così quest’ultima impostura sarebbe peggiore della prima!”. 65 Pilato disse loro: “Avete la vostra guardia, andate e assicuratevi come credete”. 66 Ed essi andarono e assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia.




Tutti gli evangelisti dedicano parecchio spazio al racconto della passione e morte di Gesù. I fatti sono fondamentalmente gli stessi, anche se narrati in modi e prospettive diversi. Ogni evangelista presenta anche episodi, dettagli, sottolineature che gli sono propri. Questi rivelano la sua attenzione e il suo interesse per alcuni temi di catechesi, ritenuti significativi e urgenti per le sue comunità.

La versione del racconto della passione che oggi ci viene proposta è quella secondo Matteo. Nel nostro commento ci limiteremo a sottolinearne gli aspetti caratteristici.




Il primo, molto importante, è che Matteo scandisce tutto il racconto con ripetuti richiami all’adempimento delle Scritture.

Quando è ancora seduto a tavola, durante l’ultima cena, Gesù pronuncia una frase che dà la chiave di lettura di tutto quanto accadrà in seguito: “Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui” (Mt 26,24).

In seguito, nel giardino degli Ulivi, quando le guardie gli si avvicinano per arrestarlo, come se fosse un bandito, reagisce dicendo: “Tutto questo accade perché si devono compiere le Scritture dei profeti” (Mt 26,56).

Matteo rileva che persino i dettagli più marginali della passione, come, per esempio, il tradimento di Giuda per trenta denari, erano stati annunciati dai profeti (Mt 27,9-10).

Abbiamo soprattutto un parallelismo, voluto da questo evangelista, fra la passione di Gesù e il dramma vissuto dal giusto di cui si parla nel Salmo 22:

- Come Gesù sulla croce (Mt 27,46), anche quest’uomo rivolge al Signore il grido: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Sal 22,2).

- È oggetto degli stessi dileggi: “Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: si è affidato al Signore, lui lo scampi; lo liberi se è suo amico” (Sal 22,8-9); è esattamente quanto è accaduto ai piedi della croce e sono identici gli insulti rivolti a Gesù (Mt 27,39.41-43).

- Come Gesù (Mt 27,34.48) ha sete: “ È arido come un coccio il mio palato” (Sal 22,16).

- È circondato da malvagi e dice: “Hanno forato le mie mani e i miei piedi” (Sal 22,17). Poi continua: “Si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte” (Sal 22,19). È quanto hanno fatto i soldati ai piedi della croce (Mt 27,35).

- Come Gesù infine (Mt 27,50), anch’egli emette un grido (Sal 22,25).

Le corrispondenze sono tali e tante che si è portati a supporre che l’autore del salmo intendesse fare una previsione esatta, fin nei dettagli, di quanto un giorno sarebbe capitato al Messia. Non è così.

Le sorprendenti somiglianze sono dovute ad una scelta teologica dell’evangelista, che ha voluto raccontare la passione e la morte di Gesù, tenendo presente lo schema di questo salmo. Lo ha fatto per aiutare i lettori ad andare oltre il puro dato di cronaca e a cogliere il significato profondo di quanto stava accadendo.

Anche gli altri evangelisti citano le Scritture, ma nessuno con tanta insistenza. La ragione è che Matteo scrive il suo vangelo per i giudei che sono stati educati dalla catechesi dei rabbini ad attendere un messia vincitore, dominatore, grande, potente. Di fronte al fallimento con cui si è conclusa la vita di Gesù, chi potrebbe avere il coraggio di presentarlo come messia?

La sfida che, ai piedi della croce, sacerdoti, scribi e anziani lanciano a Gesù: “Salva te stesso! Se sei il figlio di Dio, scendi dalla croce!” (Mt 27,40) va capita in quest’ottica. Sono disposti a credere a chi vince, non a chi perde.

Ai giudei e a tutti coloro che, anche oggi, si scandalizzano di fronte a un Messia sconfitto, Matteo risponde: le profezie dell’AT annunciano un Messia umiliato, perseguitato e ucciso; lo presentano come il compagno di ogni uomo sofferente e oppresso.

Dio non ha salvato miracolosamente Cristo da una situazione difficile, non ha impedito l’ingiustizia e la morte del Figlio, ma ha trasformato la sua sconfitta in vittoria, la sua morte in nascita, la sua tomba in un grembo dal quale è stato tratto fuori per una vita senza fine.

In lui Dio ci ha fatto sapere che egli non vince il male impedendolo con interventi prodigiosi, ma togliendogli il potere di nuocere, anzi rendendolo un momento di crescita per l’uomo.

Anche lasciandosi guidare e illuminare dalle Scritture – come ci suggerisce di fare Matteo – è difficile assimilare questa logica di Dio, è difficile accettare che “se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24).




Un secondo insegnamento su cui insiste soprattutto Matteo è il ripudio della violenza e dell’uso delle armi. Solo lui riporta la frase di Gesù a Pietro che, per difenderlo, aveva messo mano alla spada: “Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che usano la spada periranno di spada” (Mt 26,52).

Tertulliano, il famoso apologeta del II-III secolo, commentava: “Disarmando Pietro, Gesù ha tolto le armi di mano ad ogni soldato”. A lui, qualche decennio più tardi, faceva eco il biblista Origene: “Noi cristiani non impugnamo più la spada, non impariamo più l’arte della guerra, perché attraverso Gesù siamo diventati figli della pace”.

I primi cristiani non avevano dubbi: il discepolo di Cristo deve essere disposto, come il Maestro, a dare la vita per il fratello, mai e per nessuna ragione ad ucciderlo.




Uno dei temi che sta più a cuore a Matteo è l’universalismo della salvezza.

Israele non può ritenersi l’unico e geloso depositario delle promesse. Ha svolto il compito che il Signore gli ha affidato: preparare la venuta del regno di Dio. Ora è atteso, primo fra gli invitati, nella sala del banchetto (Mt 22,1-6).

Purtroppo Israele ha respinto l’invito e, nelle prime comunità cristiane, questa scelta è stata vissuta come una dolorosa lacerazione, come una spada che trafigge l’anima (Lc 2,35), come “una spina nella carne” (2 Cor 12,7).

Ci sono due fatti nel racconto della passione che sono riferiti solo da Matteo: il sogno della moglie di Pilato e il gesto del procuratore di lavarsi le mani, scaricando sui giudei tutta la colpa della condanna a morte di Gesù (Mt 27,19.24). Esprimono in modo emblematico il dramma di questo popolo e la responsabilità che si è assunto non accogliendo il messia inviatogli da Dio. Espressione massima di questo rifiuto è il grido: “Il suo sangue cada su di noi e sui nostri figli” (Mt 27,25).

L’interpretazione insensata di questa frase ha avuto conseguenze tragiche: odi, accuse assurde, violenze, persecuzioni dei cristiani contro i giudei.

Era totalmente diverso il senso attribuitole da Matteo. Turbato dalle sciagure che, nella seconda metà del I secolo d.C., avevano colpito il suo popolo e che erano culminante nella distruzione di Gerusalemme, egli aveva intuito la causa di tutti i mali: i giudei avevano scelto la violenza e rifiutato il regno di pace annunciato da Gesù.

L’evangelista vuole mettere in guardia dal pericolo di ripetere lo stesso errore. Chi si allontana da Cristo per seguire altri messia, chi confida nella violenza, chi coltiva progetti di dominio finisce sempre per provocare sciagure: fa cadere del sangue su di sé e sui propri figli.




Solo Matteo racconta i fatti straordinari accaduti alla morte di Gesù: “La terra si scosse, le rocce si spezzarono, i morti risuscitarono...” (Mt 27,51-56).

In quel tempo si pensava che il mondo fosse pieno di iniquità e tutti attendevano la nascita di un mondo nuovo. Si diceva che, nel momento del passaggio fra le due epoche dell’umanità, il sole si sarebbe oscurato, gli alberi avrebbero versato sangue, le pietre si sarebbero spezzate emettendo grida e i morti sarebbero risorti.

Ciò che Matteo dice, dunque, non va inteso come il resoconto fedele di un fatto accaduto il 7 aprile dell’anno 30, ma come l’affermazione di un teologo che, nel momento della morte di Gesù, si rende conto della nascita di un mondo nuovo.

Il suo è un messaggio di gioia e di speranza, inviato a tutti coloro che sono nell’angoscia e nel dolore, che si sentono avviluppati in tenebre di morte. Il regno di Dio è iniziato quando, sulla croce, il Signore ha rivelato tutto il suo amore e il suo interesse per il destino dell’uomo.




Un altro episodio riferito solo da Matteo è la morte di Giuda (Mt 27,3-10).

Questo discepolo è il simbolo di tutti coloro che, per un certo tempo, seguono il Maestro e che, rendendosi conto che egli non realizza i loro sogni di gloria e la loro sete di potere, lo abbandonano e addirittura si schierano contro di lui.

L’episodio è narrato sulla falsariga dell’unico vero suicidio che si trova nell’AT, quello di Achitofel, il traditore di Davide (2 Sam 17,23) e presenta zone d’ombra e misteri che non verranno mai chiariti dal punto di vista storico.

Se ci si libera per un momento dagli stereotipi, non si può non provare rispetto e pietà per il dramma di quest’uomo che – da come ne parlano Pietro, Giovanni e gli altri evangelisti in genere – sembra proprio che, nel gruppo degli apostoli, non avesse amici. Quando vide l’unico che lo amava andare incontro alla morte, dev’essersi sentito terribilmente solo a portare il peso del suo errore. È andato, purtroppo, a sfogare il suo rimorso, il suo tormento interiore dalle persone sbagliate, i sacerdoti del tempio che si erano serviti di lui. Se si fosse rivolto a Cristo, la sua vita si sarebbe conclusa in altro modo.




Infine, solo Matteo parla delle guardie poste a custodia del sepolcro (Mt 27,62-66): sono il segno del trionfo del male. La loro presenza testimonia che il giusto è stato vinto, il liberatore ridotto al silenzio, chiuso per sempre in un sepolcro.

È l’esperienza che tutti facciamo: il male dà sempre l’impressione di essersi assicurato un trionfo definitivo, tale da far considerare sogni le speranze di giustizia del povero, del debole, dell’indifeso.

Dio però assicura il suo intervento, inatteso: un suo angelo farà rotolare ogni pietra che impedisce il ritorno alla vita e si siederà su di essa (Mt 28,2) e i soldati, posti a difesa dell’ingiustizia e dell’iniquità, fuggiranno atterriti dalla sua luce (Mt 28,4).



Fernando Armellini (biblista)

domenica 10 aprile 2011

SOLO X TE


SULLA TERRA TI AGITI IN UNA PICCOLA GOCCIA D'ACQUA, FINCHE' IN CIELO ENTRERAI
NELL'OCEANO DELLA VITA DI DIO. BEATO TE, SE CERCHERAI DI VIVERE FIN D'ORA NELL'OCEANO DI QUESTA VITA!
AVE MARIA!