sabato 26 dicembre 2009

27 dicembre 2009: festa della Sacra Famiglia


Omelia del giorno 27 Dicembre 2009

Sacra Famiglia (Anno C)

Festa della Sacra Famiglia

La Chiesa giustamente in questo clima natalizio celebra la festa di quell'irripetibile famiglia, che era la famiglia di Gesù. Commuove anche solo pensare come il Figlio di Dio abbia voluto sperimentare quello che per noi è vocazione e luogo di crescita o, a volte, di difficoltà: la famiglia.

E come a descrivere le difficoltà, S. Luca racconta la prima esperienza del bambino Gesù, che si fa adolescente e mette in difficoltà i genitori – come accade in tante nostre famiglie.

"I genitori di Gesù si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando Gesù ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo, secondo l'usanza, ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti e, non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: 'Figlio perché ci hai lasciati così? Ecco tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo.' E Gesù rispose: 'Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?. Ma essi non compresero le sue parole Partì dunque con loro e tornò a Nazareth e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. e Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini" (Lc. 2, 41-52).

Sorprende questo brano evangelico, in cui l'evangelista mette a nudo un momento difficile, ma necessario, della Sacra Famiglia, dandoci così una testimonianza di quello che dovrebbe essere lo spirito, la bellezza e la natura della famiglia.

Sappiamo molto bene come oggi, proprio la famiglia, sia al centro del più vile attacco.

Tutti noi, credo, conserviamo ricordi della vita in casa, forse anche alcuni spiacevoli, ma necessari per la crescita. Siamo nati, cresciuti, siamo stati amati, educati da mamma e papà e ci erano cari, erano credibili, non solo perché ci avevano dato la vita, ma perché ci accompagnavano come sicure guide in quel cammino di cui, da bambini e fanciulli, sapevamo nulla.

Era come un addestrarci ad affrontare speranze e difficoltà, che avremmo incontrato nella vita e, quello che stava loro a cuore (almeno in tante famiglie) era di essere maestri di quella vita che, domani, avremmo dovuto affrontare responsabilmente.

Sappiamo e siamo profondamente addolorati, di come troppi rinuncino al bene della famiglia, preferendo quelle che si definiscono 'coppie di fatto', che, libere da vincoli ufficiali e, soprattutto prive della grazia del sacramento del matrimonio, che dovrebbe assicurare la fedeltà e la bellezza dell'unione, fanno della convivenza una mera esperienza personale.

O la terribile piaga del divorzio, dove l'amore, che non dovrebbe mai conoscere la parola fine - sempre che lo si sappia coltivare, sostenuti dalla Grazia - a volte sparisce per un nulla, lasciando un vuoto negli sposi e soprattutto nei figli.

Forse non ci rendiamo conto del disorientamento educativo dei figli, che assistono, senza poter far nulla, a una divisione, che poi cerca di riformarsi con un altro 'papà o mamma'.

Difficile per i figli vedere nella nuova inquilina o inquilino...una mamma o un papà. ..e da qui tanti sbandamenti di figli.

La Chiesa sta da sempre ponendo la sua attenzione, cura ed istruzione per il matrimonio e la famiglia. Ma se non c'è un vissuto di fede, prima, difficilmente quello che si cerca di dire e far comprendere porterà frutti.

C'è nel Vangelo di oggi anche un particolare che credo sia stata l'ispirazione dell'Evangelista, ossia l'atteggiamento di Gesù che quasi si svincola dalla famiglia, affermando il primato della sua vocazione o missione, e che è in fondo la ragione di ogni vita e che nessuno può modificare, ma è compito dei genitori educare.

`Non sapete che sono venuto per le cose del Padre mio?.

Dovrebbe essere compito dei genitori educare, favorire questa ragione della vita del figlio, che è il domani in cui il figlio dovrà seguire la strada di Dio.

Mamma e papà - lo ricordo con commozione - pensavano a donarmi, da fanciullo, una formazione integralmente cristiana. Non interferivano mai nel mio domani. E quando misteriosamente nella mia vita irruppe il desiderio di una vocazione, che era consacrazione a Dio nella vita religiosa e sacerdotale, - avevo come Gesù 12 anni - lo manifestai loro, che mi invitarono a pregare, perché quella vocazione non era uno scherzo della fantasia, ma un impegno serio da assumere con responsabilità. Quando decisi di allontanarmi - anche se sentivo dentro un grande dolore nello staccarmi dai miei - mi accompagnarono anche loro con tanto dolore, come quello di Maria, ma mai si misero di traverso. A loro devo dire un grazie infinito.

Offro alle famiglie che mi leggono quanto dice S. Paolo scrivendo ai Colossesi:

"Rivestitevi, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza, sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri.

Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi.

Al di sopra di tutto vi sia la carità che è il vincolo della perfeziona

E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete chiamati in un solo corpo.

E siate riconoscenti.

La parola di Cristo dimori in voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali. E tutto quello che fate in parole e in opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di Lui grazie a Dio Padre.

Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come si conviene nel Signore.

Voi, mariti, amate le vostre mogli e non inaspritevi con esse.

Voi, figli, obbedite ai genitori, in tutto: ciò è gradito al Signore.

Voi, padri, non inasprite i vostri figli, perché non si scoraggino." (Lettera ai Colossesi 3, 12-21).

Una vera divina regola di vita per le famiglie, su cui misurarsi con l'aiuto della Grazia. Preghiamo:

"Signore, grazie per la famiglia che ci hai dato,

per l'amore che abbiamo ricevuto e che impariamo a donare ogni giorno.

Ti preghiamo per tutti i genitori, perché, alla scuola della Sacra Famiglia di Nazareth, imparino a cercare il vero bene dei figli

e ad accompagnarli nella ricerca della loro strada.

Ti affidiamo tutti i figli, perché riconoscano l'amore dei genitori,

siano docili ai loro insegnamenti,

custodiscano nel cuore la loro testimonianza".

Antonio Riboldi – Vescovo –

http://t3.gstatic.com/images?q=tbn:B3TjI0d5jqcsiM:http://www.larivistadelmare.it/img/stella%20marina.jpg

Preghiera per la famiglia

Dio, dal quale proviene ogni paternità in cielo e in terra, Padre, che sei Amore e Vita, fa che ogni famiglia umana sulla terra diventi, mediante il tuo Figlio, Gesù Cristo, \"nato da Donna\", e mediante lo Spirito Santo, sorgente di divina carità, un vero santuario della vita e dell'amore per le generazioni che sempre si rinnovano. Fa' che la tua grazia guidi i pensieri e le pene dei coniugi verso il bene delle loro famiglie e di tutte le famiglie del mondo. Fa' che le giovani generazioni trovino nella famiglia un forte sostegno per la loro umanità e la loro crescita nella verità e nell'amore. Fa' che l'amore, rafforzato dalla grazia del sacramento del matrimonio, si dimostri più forte di ogni debolezza e di ogni crisi, attraverso le quali, a volte, passano le nostre famiglie. Fa' infine, te lo chiediamo per intercessione della Sacra Famiglia di Nazareth, che la Chiesa in mezzo a tutte le nazioni della terra possa compiere fruttuosamente la sua missione nella famiglia e mediante la famiglia. Tu che sei la Vita, la Verità e l'Amore, nell'unità del Figlio e dello Spisito Santo. Amen Joannes Paulus PPII

giovedì 24 dicembre 2009

Vi annuncio una grande gioia: è Natale


Omelia del 25 Dicembre 2009

Natale del Signore

Vi annuncio una grande gioia: è Natale

Il Natale di Gesù è sempre stato un giorno di particolare festa, dolcezza e voglia di pace, come se quella notte di Betlemme, con tutto il suo divino fascino, non avesse perso nulla dell'incommensurabile Evento, che vedeva Dio in persona 'gridarci' qui, ora, sempre, quanto è profondo, fedele ed immenso il Suo Amore per noi.

E- tanta la dolcezza del Natale che quasi la si tocca con mano: è come avere riscoperto in noi la bellezza di essere amati da Chi è Amore ed origine di amore, Dio.

E risuona, come fosse un presente, il canto degli Angeli: 'Gloria a Dio nel cielo e pace in terra a tutti gli uomini che Dio ama'.

Accostarsi al Natale con fede, meglio ancora 'vivere' il S. Natale, è provare la grandissima gioia dei pastori, che obbedirono all'invito dell'Angelo di andare alla grotta, perché là era nato il Salvatore del mondo, Gesù, il Figlio di Dio.

E Dio sa come il nostro tempo abbia davvero bisogno di tornare ad avere fiducia e credere nell'incredibile e meraviglioso Dono, che è Gesù, nato tra noi, per stare per sempre con noi. Sappiamo tutti come nella mente del Padre la creazione dell'uomo avesse un solo scopo: riempire il Cielo di noi, Sue creature e figli, formati a Sua immagine e somiglianza.

Creature che, secondo il progetto del Padre, avrebbero dovuto partecipare alla Sua stessa gioia ed immortalità. E così fece. Ma l'amore è sempre, per sua natura, un dono che viene dato gratuitamente ed accoglierlo è esercizio di libertà - non può essere che così. Non si ama né si corrisponde all'amore per forza. Mai. Non sarebbe più amore.

Ed è l'amore - questa vera somiglianza con Dio, se abbiamo conservato l'immagine della nostra creazione, senza farla distruggere dalla superbia, come i nostri progenitori - la grande ed inestinguibile sete di ogni uomo.

Possiamo avere poco o nulla, ma quando si è amati e si ama ci si sente davvero ricchi.

Ma l'amore è anche una 'conquista': ha sempre bisogno di 'fare pulizia' della nostra grettezza, che si perde in tante cose, che amore non sono.

Il Natale è una grande occasione: è la scoperta sorprendente dell'Evento più stupendo per noi uomini. É Dio che, di fronte all'uomo, resosi per superbia 'esule', privo della vera sua ragione di esistere, l'amore del Padre, fa il primo passo, scioglie la nostra solitudine venendo tra noi, condividendo tutto della nostra povertà senza di Lui.

Lasciamoci coinvolgere e sorprendere dalla Sua visita, attraverso il racconto che ne fa l'evangelista

Luca: 'Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazareth e dalla Galilea, salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare con Maria sua sposa che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'albergo.

C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse: 'Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: vi è nato nella città di Davide un Salvatore che è il Cristo Signore. Questo per voi un segno: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia'.

E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva: 'Gloria a Dio nel più alto dei cieli e Pace in terra agli uomini che Egli ama'.

Andarono senza indugio e,. trovarono Maria e Giuseppe e il Bambino che giaceva nella mangiatoia... I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio, per tutto quello che avevano udito e visto" (Lc. 2, 1-20).

Ma quella notte santa, il Natale, non è un fatto storico irrepetibile, come di altri tempi.

È l'Evento divino destinato oggi a noi, forse increduli o forse assetati di una gioia che cerchiamo là dove non può essere, o di cui troviamo un assaggio, quando incontriamo qualcuno o tanti che ci amano ed amiamo, perché si può vivere con poco, ma mai senza amore.

Un segno della necessità di amare, facendosi vicini a chi non è amato, è la grande diffusione di gesti di carità verso i poveri, in tutte le città e chiese.

Più che un augurio dovrebbe essere un segno, una certezza di fede, che i poveri altro non sono che Gesù che ci attende nella povertà della mangiatoia.

C'è nel Vangelo una piccola frase, che descrive il rischio, che tutti corriamo, di rifiutare Gesù nel povero: Non c'era posto per loro in albergo'. Come si vorrebbe fosse sempre evitato questo atteggiamento, che causa sofferenza, ma anche 'impoverisce' e danneggia chi vive il rifiuto dei fratelli!

Ultimamente la FAO ha posto davanti alla coscienza di tutti che nel nostro mondo più di un miliardo di uomini patiscono la fame e, se non erro, ben 17.000 bambini muoiono di fame ogni giorno. Per loro non c'è posto per il Natale!

Credo sia necessario che Gesù, presentatosi povero tra noi, ritrovi tra noi 'gli angeli' che annunziano a chi soffre che Lui è venuto anche per loro. Dobbiamo davvero riappropriarci del Natale come una rivelazione dell'amore di Dio per tutti e per ciascuno e diventare così ambasciatori di giustizia, di solidarietà, perché nessuno sia escluso dalla gioia di Dio.

Dice S. Paolo: 'A Natale apparve la bontà e l'amore di Dio Salvatore nostro verso tutti gli uomini. È il segreto di Dio che si è svelato in Gesù Cristo. Dio è bontà. Dio è amore.'

Vorrei ripensassimo a S. Francesco che andava in estasi davanti al presepio e fossimo folgorati di meraviglia e di commozione davanti a questa scoperta dell'Amore, che ci può trasformare. Ripeto: noi siamo amati da Dio!,

Comprendiamo il filosofo Pascal che esclamava: 'Gioia, gioia, gioia, pianti di gioia. Perché il Verbo di Dio si è fatto uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi!'.

L'augurio è che anche noi possiamo essere colmati da tale Gioia.

La nostra preghiera a Natale:

"Siamo qui, Padre buono, accanto al presepio,

segno povero ed umile della Presenza viva di Gesù in mezzo a noi.

Noi contempliamo in questo Bambino la Parola che Tu hai pronunciato sull'umanità per salvarla dalla tristezza, dall',egoismo, dall'ingiustizia.

Con Lui è rinata la speranza sulla terra

di vedere realizzati i Tuoi progetti di amore, di pace e di fratellanza universale. Grazie Padre. Grazie, Signore Gesù!

Ancora una volta Ti gridiamo: `Maranathà! Torna Gesù, Signore nostro!

NB: Voglio assicurare tutti voi, che mi seguite nella ricerca di Gesù, accogliendo l-invito degli Angeli ai pastori, che a Natale tutti, ma proprio tutti, vi avrò vicini nella preghiera, perché a tutti e a ciascuno Dio doni la Sua Gioia e tanta Pace.

E grazie di cuore per fa vostra amicizia, così a me tanto cara e preziosa!

Antonio Riboldi - Vescovo –

giovedì 17 dicembre 2009

Beata te che hai creduto




Omelia del giorno 20 Dicembre 2009

IV Domenica di Avvento (Anno C)

Beata te che hai creduto

Sono giorni questi in cui si respira l'aria del Natale e, per chi crede, è la gioiosa attesa dell'Evento divino, difficile da descrivere a parole, che è Dio che viene tra noi, uomo come noi, per aprirci le porte della salvezza. I pochi giorni che ci separano dal Natale dovrebbero essere giorni di grande gioia dello spirito.

La stessa gioia che la Chiesa ci offre oggi nel racconto dell'Incontro di Maria con S. Elisabetta, che esclama: 'Beata te che hai creduto'.

Mi capita sempre, visitando i santuari mariani, da Lourdes a Fatima, di essere come afferrato da un che di soprannaturale che scuote ‘dentro’: come se ancora una volta la Mamma celeste ci venisse incontro a visitarci, come fece con la cugina Elisabetta.

Non si staccherebbero mai gli occhi dalla piccola statua a portata di mano. Pare che immediatamente si stabilisca un dialogo, cuore a cuore, che ti strappa letteralmente fuori dal solito mondo in cui viviamo, per immergerci in un altro che sogniamo, ma che a volte crediamo impossibile. Li la fede si fa certezza; presi per mano da Maria, la fede si fa conoscenza ed esperienza dell'amore di Dio. Lì, nella fede e nella preghiera, si sciolgono tanti nodi 'dentro', 'nodi' che la nostra ignoranza, per non dire altro, giorno dopo giorno ha costruito. E, alla fine, è come se in noi 'sussistesse il divino', che si è risvegliato. Viene spontaneo dire: 'Ora mi sento felice! Vorrei quasi che il viaggio finisse qui, per conservare intatta la pace e serenità che provo'.

Doveva essere davvero immenso lo stupore e la gioia della giovane Maria dopo l'annunciazione che sarebbe diventata Madre di Dio: una gioia che vuole condividere con Elisabetta, come ad averne conferma. E corre da lei.

A Fatima, se si è avuta la gioia di andare, ricorderete come sul frontale della basilica campeggiano le parole di Elisabetta a Maria: 'Beata te, che hai creduto'.

Così racconta l'incontro l'evangelista Luca:

"In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto dà Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: 'Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento della parola del Signore!: Allora Maria disse: 'L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l'umiltà della Sua serva' (Lc. 1, 39-48).

La Madonna era giovane, giovanissima. Non sognava neppure le 'grandi cose' che sogniamo a volte noi, abituati a 'sognare ambiziosamente le cose del mondo'. La Sua inimitabile umiltà, unita alla povertà, certamente la portava continuamente a contemplare la bellezza di Dio, vivendola poi nella semplicità della vita. Nulla poteva attrarla qui, perché nulla incuriosiva il suo cuore, solo attratto dall'amore di Dio e dalla sollecitudine per i fratelli, come verso Elisabetta.

La sua vita quasi non era avvertita da chi le viveva vicino, i suoi compaesani: Dio la teneva gelosamente nascosta agli occhi del mondo, per renderla tutta Sua. E sarà così con quel 'piena di grazia, il Signore è con te'. Così la semplicità e la povertà diventano luoghi in cui Dio si compiace di coltivare l'Opera più grande che sia possibile realizzare in una creatura: diventare Madre di Dio, farsi strumento docile del progetto incredibile di amore del Padre, che tanto ama il mondo, da affidare al cuore e alle mani di questa creatura, da Lui stesso plasmata, il Suo Figlio; mandarlo tra di noi, come uno di noi, passando per il grembo di una vergine, in modo ineffabile, per opera dello Spirito Santo.

Lontana da lei, Elisabetta, non più giovane e, avendo consumata l'età di poter generare un figlio, soffriva serenamente la sua sterilità. Anche lei una donna che aveva una grande intimità con Dio, di cui si fidava.

Non sapeva che la sua non era sterilità, ma l'attesa di diventare 'madre al tempo giusto', non per volontà umana, ma per un disegno e dono di Dio. Sarà madre di Giovanni Battista.

L'incontro delle due donne diventa così l'incontro di due 'annunci dal Cielo', che le renderanno protagoniste di promesse divine.

Questi due atti di fede si incontrano nella visita di Maria alla cugina Elisabetta, dove hanno la conferma che è proprio veto quello che Dio ha annunciato.

“Ecco, - dice Elisabetta - appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento della parola del Signore!: E Maria risponde: 'L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l'umiltà della Sua serva'.

E così, 'due povere donne' agli occhi del mondo, che, nella loro umiltà forse non osavano neppure alzare gli occhi al Cielo e tantomeno avevano pretese di segni particolari, per sentire la presenza di Dio, diventano il 'luogo' della manifestazione stessa di Dio.

Quanti insegnamenti da questo episodio evangelico. Ci richiama al nostro dovere di carità, di farsi vicini o visitare tanti, per portare serenità e gioia. Soprattutto verso chi non sta bene o è afflitto.

Era un giorno di Natale, in quei momenti in cui, dopo le solenni celebrazioni, si aspira ad un momento di riposo. Venni invece invitato a fare visita ad una famiglia disastrata sotto ogni aspetto.

`Lì, Padre, - mi si disse - c'è bisogno di portare l'annuncio che Dio è vicino ed ama. Se non nasce li, Lui nato in una mangiatoia, dove dovrebbe nascere?'. Si trattava di una famiglia davvero emarginata, tagliata fuori da ogni attenzione. Abitava in un tugurio, da far sembrare la grotta di Betlemme una reggia. Salendo una scala, che metteva in difficoltà lo stesso equilibrio, venni circondato da quattro bambini, dai quattro agli otto anni. Si rincorrevano silenziosamente, apparendo e scomparendo come topolini. In una stanza, che era probabilmente il solo luogo di ritrovo della famiglia, c'era il padre alcolizzato, con in mano una bottiglia, che non si accorse neppure di chi entrava. In un angolo, che alcuni volontari avevano cercato in tutti i modi di rendere presentabile, giaceva a letto la mamma. Aveva il petto letteralmente divorato dal cancro. Era evidente che soffrisse moltissimo. Ormai i medici non le avevano dato speranze e per lei, dato il suo stato di salute, non c'era più posto tra gli uomini, neppure tra i malati.

Del resto, non ne aveva mai avuto uno, per tutta la vita. Nonostante un'esistenza provata ai limiti della sopportabilità, nonostante il dolore che l'attanagliava, nonostante il suo sentirsi lontana da ogni affetto e aiuto, come non fosse una creatura di Dio, nonostante tutto... aveva due occhi di cielo, trapiantati in una palude.

Era insopportabile il cattivo odore che impregnava anche i nostri abiti. Si fece di tutto per ridonare a quell'ambiente un decoro umano. 'So che devo morire - mi disse - e non mi importa. Sono stanca di soffrire. Ho solo tre desideri: che qualcuno si prenda cura dei miei bimbi, di poter assistere ad una Messa celebrata qui. Ma verrà Gesù fino a me? Non si spaventerà di questo ambiente, di tutti noi che ci abitiamo? Ed infine vorrei poter trascorrere i miei ultimi giorni in una stanza di ospedale, pulita, per sentirmi anch'io un essere umano'.

Le risposi: 'Per la S. Messa gliela celebro oggi stesso, cosi Gesù celebra il suo Natale qui'. In breve tempo, con quanti vivevano la carità con me, la camera fu preparata. Celebrai la S. Messa con attorno all'altare improvvisato i quattro ragazzini, che apparivano e sparivano ancor più velocemente, perché avevano percepito che in casa c'era festa: era il loro modo di parteciparvi.

Attorno al letto vi erano i cari volontari, giovani che non riuscivano a nascondere la commozione_ E di fronte quella donna, Maria, che letteralmente si beveva tutta la celebrazione con gli occhi, come se davvero fosse presente alla nascita di Gesù. Continuava a ripetere: 'Che bello! Se il Natale è cosi bello da me, come sarà in Paradiso? Non c'è più bisogno che trovi una bella stanza per vivere i miei ultimi giorni: sono certa che la bellezza e l'amore che ci ha portato Gesù, durerà per i pochi giorni che restano'.

È stata un'esperienza – tra tante altre – che mi ha educato a vivere con amore.

E Natale ci insegna che non è più tempo di sole parole, ma di amore fattivo. È tempo di aprirci all'Amore che Dio ha per noi, per poi donarlo agli altri, come fu per Maria SS.ma e S. Elisabetta.

È tempo di generosità. È tempo di rinunciare a tante futilità, che rischiano di mettere in un angolo Gesù, che viene tra noi.

Un sorriso, una mano che si apre ai poveri, un atteggiamento di tolleranza, che diviene accoglienza, verso chi già è più fragile, perché si sente 'straniero in terra straniera', e i tanti infiniti modi di dire, anche ai più vicini, che li si ama, che siamo contenti di essere amati, diventano il grande annuncio degli Angeli: 'Oggi è nato per noi il Salvatore!'.

Ma saremo capaci?

Preghiamo:

Gesù, quando hai voluto condividere la nostra avventura umana,

per indicarci la strada della vera vita,

Tu, Signore, hai assunto la nostra carne mortale,

Ti sei rivestito della nostra umanità,

hai offerto la tua Persona al Padre,

perché in Te trovasse compimento

la speranza di tutta l'umanità.

Anche noi ti presentiamo la nostra vita,

ti offriamo le nostre persone, noi stessi,

per divenire collaboratori al Tuo progetto di amore e di salvezza.

Antonio Riboldi – Vescovo –

Internet: www.vescovoriboldi.it

lunedì 14 dicembre 2009

TU
CHE
NE DICI,
AMICO MIO,
SE IN QUESTO
NATALE FACCIO
UN ALBERELLO DENTRO
IL MIO CUORE? CI APPENDO,
INVECE DEI REGALI,
I NOMI DI TUTTI I MIEI
AMICI...GLI AMICI LONTANI E
VICINI, GLI ANTICHI ED I NUOVI.
QUELLI CHE VEDO TUTTI I GIORNI E
QUELLI CHE VEDO DI RADO. QUELLI CHE
RICORDO SEMPRE E QUELLI CHE, ALLE VOLTE,
RESTANO DIMENTICATI, QUELLI
COSTANTI E QUELLI INTERMITTENTI COME LUCINE,
QUELLI DELLE ORE DIFFICILI E QUELLI DELLE
ORE ALLEGRE. QUELLI CHE, SENZA VOLERLO, MI
HANNO FATTO SOFFRIRE. QUELLI CHE CONOSCO PROFON-
PROFONDAMENTE
E QUELLI DEI QUALI CONOSCO SOLO L' APPARENZA.
QUELLI CHE MI DEVONO POCO E QUELLI AI QUALI DEVO MOLTO. GLI
AMICI DI UNA SERA E QUELLI DI UNA VITA...
UN ALBERO CON RADICI MOLTO PROFONDE,
AFFINCHE’ I NOMI DI TUTTI NON ESCANO MAI DAL MIO CUORE. UN ALBERO DAI
LUNGHISSIMI RAMI PERCHE’ CI SIA SPAZIO PER COLORO CHE VERRANNO.
UN ALBERO CHE FACCIA
UN'OMBRA RISTORATRICE
PERCHE' LA NOSTRA
AMICIZIA
SIA UN MOMENTO
DI RIPOSO DALLE
TANTE LOTTE
DELLA V I T A.
AUGURI A TUTTI I MIEI AMICI !

sabato 12 dicembre 2009

Natale è vicino che cosa dobbiamo fare?

Omelia del giorno 13 Dicembre 2009

III Domenica di Avvento (Anno C)

Natale è vicino: che cosa dobbiamo fare?

Credo che tutti avvertiamo il particolare clima natalizio, che è attesa di 'novità', o di gioia, a seconda di come viviamo questo incredibile evento di Dio che viene a noi, come uno di noi, per farsi carico della nostra vita e trasformarla.

Davanti a questo Evento divino - non c'è altro aggettivo per definirne la sublimità - cosi, oggi, esprime la sua gioia il profeta Sofonìa: “Gioisci, figlia di Sion, esulta Israele, e rallegrati di tutto cuore, figli di Gerusalemme. Il Signore ha revocato la sua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d'Israele è il Signore in mezzo a te, tu non vedrai più la sventura. Il quel giorno si dirà a Gerusalemme: 'Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un Salvatore potente'. Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il Suo amore, si rallegrerà per te con grida di gioia, come nei giorni di festa” (Sof. 3, 14-18).

E Giovanni il Battista, nel deserto, suggerisce di attendere Gesù con parole chiare: mettere alle spalle gli sbagli, che ci separano da Dio.

Immagino con voi la scena descritta dal Vangelo di oggi. L'evangelista Luca la situa nel deserto, il luogo che Giovanni aveva scelto per annunciare la venuta del Messia, che avrebbe dato certamente una risposta alla domanda di salvezza dell'umanità: salvezza da sempre invocata, anche se non si sapeva dare un volto a questa ricerca, ed è forse così anche oggi.

Siamo come assediati, almeno in apparenza, da troppi fatti, che mettono in dubbio la stessa speranza e il desiderio di una possibile pace, giustizia e serenità.

`Non se ne può più' si sente affermare tante volte. E diventa nostra la preghiera del Salmo 62: "O Dio, Tu sei il mio Dio, all'aurora ti cerco; di Te ha sete l'anima mia; a Te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz'acqua".

Ma nel deserto non arrivano le voci scomposte del mondo: il deserto evangelico, per chi davvero ha sete di serenità, di gioia, di Dio, si riempie della Sua Presenza.

Ci andrà anche Gesù, e tante volte.

Il deserto è inospitale, eppure tanta gente di ogni condizione andava a vedere e sentire Giovanni, il Battista: gente andante - e forse è ancora così anche oggi, per tanti - che cerca la sorgente della vera acqua.

Giovanni, con la sua vita spoglia delle scorie del mondo, dava il senso della verità. Faceva venire la voglia di gettarsi a capofitto nel Giordano, per essere battezzati, in quello che era chiamato `battesimo di penitenza o conversione'.

A cercarlo, era - ed è forse anche oggi così gente semplice, comune, che, per entrare in una mentalità nuova, che onorasse la dignità della vita, riportasse la pace nel cuore, era disposta a cambiare vita.

Giovanni Battista dava consigli pratici, del tipo: 'chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha e chi ha mangiato faccia altrettanto'. Oppure a quanti esigevano troppe tasse, per intascarne una parte, o facevano prestiti onerosi, come i pubblicani,: 'non esigete più di quanto è fissato'. Ai soldati, che praticavano il diritto alla razzia e al saccheggio nei territori occupati: ‘Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, ma contentatevi delle vostre paghe'.

Viene da pensare alla grande schiera dei nostri contemporanei, che vivono nella loro sicurezza senza condividere nulla con chi lotta per la sopravvivenza; alla spaventosa massa di criminali, che fanno dell'usura, della rapina o del furto, più o meno palese, più o meno coperto o a volte `legalizzato', la regola per 'far fortuna'. Magari tutti costoro ascoltassero Giovanni il Battista!

Tutti coloro che accorrevano da Giovanni, pensavano fosse lui il. Messia.

Il Vangelo di oggi ci aiuti a convertirci:

"Le folle interrogavano Giovanni, dicendo: 'Cosa dobbiamo fare? : Rispondeva: "Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha e chi ha mangiato ne dia a chi non ne ha'.

Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: 'Maestro, che dobbiamo fare?'. Ed egli disse loro: 'Non esigete nulla di più di quanto è dovuto e fissato'.

Lo interrogavano anche alcuni soldati: 'E noi che dobbiamo fare?: Rispose: 'Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe'.

Poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo. Giovanni rispose a tutti dicendo: lo vi battezzo in acqua, ma viene uno che è più forte di me, al quale io non sono degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali; costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia, per raccogliere il frumento nel granaio, ma la pula la brucerà con fuoco inestinguibile'.

Con molte esortazioni annunziava al popolo la buona novella". (Lc. 5, 10-18)

Credo che anche a tutti noi, che seriamente ci prepariamo ad accogliere Dio, che sta venendo tra di noi, - anzi che attende già oggi alla porta di 'casa nostra' - riconoscendoci tutti peccatori, - speriamo non incalliti!- e conoscendo le nostre imperfezioni, venga spontanea la domanda: 'Ed io che cosa devo fare?'. Non penso vi sia qualcuno che si senta talmente santo, da non aver bisogno di porsi questa semplice, ma esigente, domanda: 'Cosa devo fare?'.

Allora era Giovanni che dava una risposta a chi si rivolgeva a lui, ad ogni categoria di persone. Oggi è il Vangelo che guida, sono certo, la nostra retta coscienza, a porci la domanda. Sarebbe davvero un grave danno per la nostra vita – quella dello spirito che conta davvero – se non ce la ponessimo, rimanendo dove siamo, senza tener conto di 'come siamo' agli occhi di Dio.

Tutti abbiamo bisogno di capire chi siamo, senza paura, con tanta fiducia, perché c'è Chi sa capire e, se incontra il nostro pentimento, è pronto a cancellare tutto, mettendoci le braccia al collo, come avvenne con il figlio prodigo.

Il Vangelo, continuando il racconto, narra che alcuni rimasero a vivere con Giovanni, altri se ne tornarono a casa propria – si spera diversi da prima - .

Capita a volte, a noi pastori di anime, di sentirci come Giovanni il Battista. É tanta la gente, di ogni tipo, giovani o adulti, che viene a volte a raccontarci la propria nausea per quello che sente dentro, per come vive. Gente disposta, per Grazia di Dio, spinta da Lui, a 'tuffarsi nel Giordano' per cambiare vita o almeno capire la ragione del grande, a volte insopportabile disagio della vita interiore, ma con la paura che nulla cambi. E da soli, davvero, si può fare poco... .ma sta venendo

Natale di Gesù, anzi, Gesù è già venuto, è tra noi, a darci la certezza che tutto può cambiare!

Un giorno vennero dei giovani e mi invitarono ad una manifestazione per la pace, in un grande centro, teatro di tradizionale violenza di ogni tipo, dagli omicidi alle estorsioni. C'era in tutti una gran voglia di occupare una volta per tutte quelle strade, che sembravano proibite alla libertà, al diritto della persona di vivere con dignità. Era uno schierarsi apertamente dalla parte dell'amore contro la violenza. Si partì in pochissimi. Ma, lentamente, la gente si fece vincere dal desiderio di essere persone vive, senza paura, forti del coraggio che viene dalla coscienza buona, che non tollera più offese alla propria dignità. Facile immaginare l'entusiasmo di quei. giovani. Durante la manifestazione, qualcuno mi fece una domanda simile a quella che ponevano a Giovanni: 'Padre, ed ora cambierà qualcosa nella nostra città?'. 'Siete davvero discepoli di Gesù?' - chiesi, lasciandoli un po' perplessi. Alla fine risposi: 'Se l'uomo, ogni uomo, non cambia interiormente - come `battezzati nel Giordano' dico oggi - può darsi che ottenga che questa criminalità oggi finisca, ma se l'uomo rimane quello che è, inginocchiato davanti al dio denaro e al dio potere, presto o tardi ne sorgeranno altri'.

Mi si fece vicina una ragazza, che chiese di poter camminare accanto a me_ Mi accorsi presto che era una tossicodipendente, ma il suo volto ispirava tanta tenerezza.

`Perché lo fai?' chiesi un poco ingenuamente, alludendo alla droga.

`Perché lo faccio? – mi rispose – perché è bello. Cosa mi avete insegnato voi preti di diversamente bello? Chi è mai Cristo, che voi dite essere la verità e la gioia? Se veramente è quello che voi dite che sia, perché non si fa vedere?'.

Uscivano domande ed imprecazioni a getto continuo, che erano urla di disperazione.

Faceva veramente compassione quel volto sfregiato dalla confusione e dal dolore. Non aveva vergogna di buttarmi in faccia il suo animo, che forse aveva sognato una vita bella e si era trovato, senza che lei ne sapesse spiegare il perché, in una palude, che non offriva uscite.

Urlava tanto da attirare l'attenzione dei vicini. Io non osavo neppure interrompere e mi lasciavo sommergere da tutta quella rabbia. 'Cosa posso fare?' furono le sue ultime parole - la stessa domanda rivolta al Battista.

Chinammo il capo tutti e due, come in cerca di risposte. Nel silenzio mi passavano davanti agli occhi tantissimi come lei, fino a confondermi.

Più tardi presi un foglio e scrissi questa preghiera:

`Signore, questa sera, non ho più voce, se non per dirti parole vuote: insegnami a pregare.

Signore, non so più trovare in questo mondo, pieno di voci che tradiscono, la voce che giunge a Te: insegnami a pregare. Signore, ora ti sto gridando che la mia vita e di tanti è cosi vuota di senso, che non vogliamo neppure credere che il vero senso della vita sei Tu: insegnami a pregare.

Signore, ci rimproveriamo che ormai siamo incapaci di amare ed intento non ci ricordiamo che ogni amore viene da Te: insegnami a pregare.

Signore, questa sera, vorrei farTi vedere a questa mia sorella, che è sfatta da una vita sbagliata e il mio volto è diventato un pezzo di ghiaccio per il dolore che vivo con lei: insegnami a pregare. Signore, sono confuso al punto che mi pare di vivere balbettando, non sapendo neppure più cosa dire: insegnami a pregare.

Signore, vorrei regalare a questa mia sorella e a tantissimi come lei, un sorriso che dica 'Dio ti ama teneramente come la pupilla dei Suoi occhi' ed invece ho gli occhi pieni di lacrime.' Le feci avere la preghiera. Quella ragazza, si chiamava Nadia, mi rispose:

`Le avevo chiesto di tenermi compagnia, perché mi sentivo insicura. Lei ha accettato di cuore ed io l'ho sommersa con la mia rabbia e con la voglia di uscire da questo tunnel. Le ho fatto tanto male?'. Incontrandola le diedi la risposta: 'Non importa, quello che conta è che tu ora abbia intravista la speranza'. Oggi Nadia è diversa, tutt'altra cosa. Per Nadia, quel giorno, è stato Natale.

Antonio Riboldi – Vescovo –

venerdì 4 dicembre 2009

Preparate la via al Signore


Omelia del giorno 6 Dicembre 2009

II Domenica di Avvento (Anno C)

Preparate la via del Signore

Viene subito da chiederci: ma la voce del profeta Giovanni o la voce della Chiesa, oggi, viene accolta? E sappiamo tutti come sia urgente 'raddrizzare i sentieri del Signore'.

È una felice consuetudine dei nostri Pontefici, a cominciare dal grande Giovanni Paolo II, percorrere, sulle orme di S. Paolo, tutte le vie del mondo, quasi volessero circondarlo di sciabolate di luce, condire i discorsi con vere catechesi o annunci, cercare i dibattiti con i giovani; e sono questi i momenti più esaltanti, forse anche più veri, almeno sul piano umano.

Amano tanto i giovani, lo sappiamo tutti e i giovani amano loro. Vi è una consonanza straordinaria tra le attese dei giovani, la loro innata voglia di verità e il desiderio di risposte autentiche, che è come se i giovani e il Papa si conoscessero da sempre.

Si lasciano tranquillamente interrogare, come del resto farebbero tutti i saggi maestri di vita: invitano, anzi, i giovani, a rompere l'oscurità e la nebbia che avvolge la speranza; e i giovani non esitano un istante a raccontare le difficoltà che incontrano, sperando di trovare nelle parole del Santo Padre un senso di orientamento che aiuti a continuare il cammino.

In uno di questi colloqui, a Torino, in occasione del centenario della morte di S. Giovanni Bosco, i giovani chiesero: 'Lei pensa che pace, sviluppo, solidarietà nel mondo siano solo ideali, ma irraggiungibili, o invece sono obiettivi concreti? E i giovani cosa possono fare?'.

La risposta fu veramente degna di Giovanni Paolo II, della sua grande fede, che si estendeva alla buona volontà di tanti giovani: 'Potete essere ciò che gli uomini attendono da voi, se vi decidete ad agire. Solo abbiate la purezza delle motivazioni, che vi rende trasparenti; il respiro della speranza, che vi fa costanti; l'umiltà della carità, che vi rende credibili. Oso dire che un giovane della vostra età, che non dia, in una forma o in un'altra, qualche servizio per i fratelli non può dirsi cristiano, perché sono tanti e tali le domande che nascono dai fratelli e dalle sorelle, che ci stanno attorno'.

Ed è così. Basta fare due passi tra le gente che riempie strade, case, negozi, per cogliere il senso di smarrimento, di solitudine, fino all'angoscia.

O basta una mattina scorrere le pagine di un giornale, per imbatterci in cronache o in analisi, che sembrano volerci costringere a mettere definitivamente nel regno delle utopie, ossia di realtà che non incontreremo mai, i desideri di civiltà o felicità.

E questo senso dí smarrimento non lo si prova solo osservando ciò che succede attorno a noi, ma a volte ancor più se guardiamo nel profondo della nostra vita.

A volte ci troviamo così confusi, anche noi avvolti nella nebbia, da girare per i vicoli della nostra vita quotidiana, non con il sorriso di chi cammina in piena luce, anche se si arranca sul Calvario, ma con la tensione di chi si sente fuori strada e teme di cadere in un burrone.

Dio conosce questa nostra infelicità o questa nostra incapacità di vivere serenamente, 'come un bimbo in braccio a sua madre'.

Pare di essere al momento della creazione, quando Dio disse ai nostri progenitori: 'Vuoi accogliere l'amore che ti dono e diventare simile a me? Vuoi condividere la mia vita?'. È la stessa domanda che ci fa oggi, a tutti. Ma l'uomo, tentato dalla superbia, che forse non sopportava e non sopporta di condividere la vita con Qualcuno, ma voleva e vuole 'essere qualcuno', disse e dice: no.

Testardi, come testarda è la superbia, che preferisce spaccarsi la testa contro il muro, piuttosto che spalancare gli occhi e il cuore sulla Luce. E la Luce c'è: è Dio che si è fatto UNO di NOI e vuole vivere con noi.

Di fronte a questo amore, che dal Cielo irrompe sulla terra, come se a Dio esplodesse il Cuore, così il profeta Baruc, oggi, ci esorta:.

"Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell'afflizione, rivestiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre. Avvolgiti il manto della giustizia di Dio, metti sul capo il diadema di gloria dell'Eterno, perché Dio mostrerà il tuo splendore ad ogni creatura sotto il cielo. Sarai chiamata da Dio per sempre 'Pace della giustizia e gloria della pietà. Vedi, i tuoi figli, riuniti da occidente ad oriente alla Parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio. Si sono allontanati da te, ora Dio li riconduce. Poiché Dio ha stabilito di spianare ogni montagna e le rupi secolari, di colmare le valle e spianare la terra, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio" (Baruc. 5, 1-9).

Anche noi, oggi, in questo prezioso tempo di Avvento, che celebra il ritorno di Dio tra noi, cosa possiamo fare per spianare la strada a Dio?

Ci sentiamo dentro troppe montagne o troppi abissi e ci pare impossibile creare una `via piana' a Dio. È proprio così. Sono quei burroni che ci siamo scavati nel tempo, con le nostre ottusità e infedeltà, fino a rischiare che diventino abissi, che quando ti inghiottono difficilmente ti restituiscono alla vita. Sono quelle colline di piccole e grandi superbie, di cui abbiamo costellato la vita, facendone come una catena che imprigiona e non apre alla venuta del Signore.

L'ordine di Dio è di colmare burroni e spianare colline, fino a creare una grande strada su cui poter correre verso di Lui.

È possibile tutto ciò?

Ho sotto gli occhi una lettera di un mio grande amico. È uno che è stato tristemente famoso per le sue gesta: gesta spengono la speranza e portano la disperazione. Lo incontrai in carcere.

Ci teneva a dirmi che non si sentiva cristiano. Non riuscivo neppure a ribattere alle sue affermazioni, che arrivavano come schiaffi in faccia alla mia fierezza di esserlo.

Aveva un volto duro, scavato da un'esperienza amara, fatta forse per un amore sbagliato verso la società, più che per una reale cattiveria; una durezza che però non appariva nei suoi occhi, al contrario, esprimevano dolcezza. Si accorse della mia sofferenza non meritata e riparò raccontandomi del come stesse vivendo quel periodo. Dipingeva molto bene. Mi fece vedere un suo quadro, che dava esattamente la percezione di una vita 'in gabbia', ma anelante alla libertà.

Spiccava in primo piano una finestra con sbarre, in una forte tinta blu e sembrava l'urlo di disperazione del trovarsi dentro quella cella. 'Fuori', oltre le sbarre, una pianta ed un pastore, dipinti con colori tenui, dolcissimi, come sono quelli della libertà e più ancora quelli della salvezza, che Dio opera in noi. Si accorse del mio stupore e confermò la mia impressione. 'Lì - gli dissi - tra le sbarre ci sei tu che ti parli o vuoi parlarci. Ma quando sarai quel pastore tra mille colori di salvezza?'.

Non osai chiedergli se avesse mai alzato gli occhi al Cielo, che tra l'altro sapeva dipingere molto bene, un cielo privato di Dio.

Nacque tra noi una profonda amicizia. Quanti burroni doveva colmare questo mio amico. Ce la farà?'- mi chiedevo.

Si dette non solo alla pittura, ma cominciò a donare speranza ad altri, che erano come lui. E piano piano non si sentì più come uno che è dietro le sbarre ed ora 'è il pastore' che insegna e gode libertà. Il diaframma di quella sezione dipinta di blu (l'isolamento dipinto nel quadro) cominciò a cedere e così uno dopo l'altro, anche se lentamente, si aprirono dei varchi verso un cielo aperto e libero all'orizzonte. Ho visto il suo viso sollevarsi verso il Cielo stellato, dimenticato per troppi anni. Ora parla un altro linguaggio, come uno che ha demolito monti e colmato valli e sogna di avere una famiglia, figli e lavoro. Mi racconta che ad una mostra di pittura presentò il suo quadro e tanti tentarono di acquistarlo. Ma lui ha risposto a tutti: 'E' di Antonio vescovo'.

Mi pare adatta a lui e a tanti di noi, una preghiera detta da 'un pagliaccio':

"Signore, sono un fallito, però ti amo. Ti amo terribilmente, pazzamente, che è l'unica maniera che ho di amare, perché io sono un pagliaccio.

Sono vari anni che sto nelle Tue Mani e presto verrà il giorno che io volerò a Te,

La mia bisaccia è vuota, i miei fiori appassiti, mi consola la Tua tenerezza.

Sono davanti a Te come una brocca vuota e se vuoi però con questa creta puoi farne un'altra come a Te piace. Signore, accetta l'offerta di questa sera.

La mia vita come quella di un flauto è piena di buchi, ma prendila nelle Tue Mani divine.

Che la Tua musica passi attraverso me e sollevi i miei fratelli; sia per loro come un ritmo che accompagni il loro cammino, allegria semplice dei loro passi".

Verrebbe la voglia di pregare, perché in questo tempo di attesa del Natale, ci siano tanti di questi `pagliacci' e tra questi anche noi.

8 Dicembre - SOLENNITÀ DELL'IMMACOLATA CONCEZIONE DI MARIA

La Chiesa oggi, giustamente, fa grande festa per il Dono di Dio, che è Maria, concepita senza peccato originale, quindi purissima, perché era destinata ad accogliere nel suo seno il Figlio di Dio, Gesù. Quale dono e quale grazia: anche perché Maria non è solo la Mamma di Gesù, ma Gesù dalla croce ce l'ha donata come Mamma nostra.

Noi la salutiamo con il canto della Chiesa:

“O donna gloriosa, alta sopra le stelle,

tu nutri sul tuo seno il Dio che ti ha creata.

La gioia che Eva ci tolse, ci rendi nel tuo Figlio e dischiudi il cammino verso il Regno dei Cieli. Sei la via della pace, sei la porta regale; ti acclamino le genti redente dal Signore.

A Dio Padre sia lode, al Figlio e allo Spirito Santo, che ti hanno adornata di una veste di Grazia. Amen”.

Antonio Riboldi – Vescovo –