sabato 11 settembre 2010

Per accettare il Padre bisogna convertirsi al fratello.

Nutriamoci della Parola di DIo del 12 settembre 2010
Lc 15,1-32

1 Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per
ascoltarlo. 2 I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». 3 Allora egli disse loro questa parabola:
4 «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? 5 Ritrovatala, se
la mette in spalla tutto contento, 6 va a casa, chiama gli amici e i vicini
dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. 7
Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.
8 O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e
spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? 9 E dopo averla
trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato
la dramma che avevo perduta. 10 Così, vi dico, c'è gioia davanti agli angeli
di Dio per un solo peccatore che si converte».
11 Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12 Il più giovane disse
al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro
le sostanze. 13 Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue
cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. 14
Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a
trovarsi nel bisogno. 15 Allora andò e si mise a servizio di uno degli
abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. 16
Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. 17
Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in
abbondanza e io qui muoio di fame! 18 Mi leverò e andrò da mio padre e gli
dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; 19 non sono più degno
di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. 20 Partì e
si incamminò verso suo padre.
Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al
collo e lo baciò. 21 Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e
contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. 22 Ma il padre
disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli
l'anello al dito e i calzari ai piedi. 23 Portate il vitello grasso,
ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto
ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.
25 Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a
casa, udì la musica e le danze; 26 chiamò un servo e gli domandò che cosa
fosse tutto ciò. 27 Il servo gli rispose: E' tornato tuo fratello e il padre
ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. 28
Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. 29
Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un
tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. 30
Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato,
per lui hai ammazzato il vitello grasso. 31 Gli rispose il padre: Figlio, tu
sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32 ma bisognava far festa e
rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed
è stato ritrovato».


I destinatari dell’insegnamento sono gli scribi e i farisei. La parabola è
un invito ai giusti perché si convertano dalla propria giustizia che condanna i
peccatori, alla giustizia del Padre che li giustifica.

Mentre il peccatore sente il bisogno della misericordia di Dio, il giusto non la
vuole né per sé né per gli altri, anzi si irrita grandemente con Dio, come Giona (Gio
4, 29). In questo modo rifiuta Dio, che è misericordia, in nome della propria giustizia.

La contrapposizione tra uno e tutti sottolinea la condizione di precedenza di
chi è fuori strada, malato e infelice rispetto a chi è al sicuro, in salute e nella
gioia.

Nell’Antico Testamento il pastore è Dio (Ger 23,1-6; Ez 34,12-16; Sal 23;
ecc.), nel Nuovo è Gesù (Gv 10,11ss). Il cuore del Padre si rivolge tutto verso
l’unico figlio che manca. Non basta la presenza di tutti gli altri per consolarlo.
Egli ha un amore totale per ognuno. La sofferenza per la perdita di uno solo ci rivela
quanto valore ha ognuno di noi ai suoi occhi di Padre.

L’atteggiamento del Padre si rivela nel comportamento di Gesù che cerca
l’uomo perduto e invita gli amici e i vicini perché condividano la gioia del
ritrovamento.

L’iniziativa della salvezza è di Dio che non attende il ritorno del
peccatore smarrito, ma gli va incontro e lo porta a casa sua. La gioia di Dio per il
ritorno del peccatore sta nel vedere riconosciuta e accolta la sua misericordia.

La gioia di Dio sarà piena quando tutti, anche i giusti, si convertiranno.
Secondo Paolo il punto di arrivo della storia è la conversione d’Israele (Rm
11,25-36). La gioia di Dio per la salvezza di uno solo lascia intravedere la sofferenza
divina del Padre fino a quando non vede tutti i suoi figli nella sua casa.

In realtà la pecora non si è convertita. Non siamo noi che ritorniamo a Dio,
ma è lui che viene a cercarci. Convertirsi è volgere il nostro sguardo dal proprio io a
Dio, dalla nostra nudità all’occhio di colui che da sempre ci guarda con amore.

Nella parabola della pecora perduta il protagonista era un uomo, figura di Dio,
pastore d’Israele. Nella parabola della dracma perduta è una donna, figura
dell’amore materno di Dio. Dio mi è più madre di mia madre: è lui infatti che mi
ha tessuto nel seno di mia madre (Sal 139,13). Egli ama ciascuno di amore pieno e totale.
Se ne manca uno solo, la sua casa è vuota. Perché ama ogni figlio più di se stesso.

Dio non ci ama in questo modo infinito perché siamo bravi, ma perché siamo
suoi figli. E il fatto che siamo peccatori, pecore perdute e dracme smarrite, ci rende
oggetto di un amore più grande (Lc 5,32; 19,10). Il valore di ogni cosa e di ogni persona
si rivela nella sua perdita; il nostro valore si è rivelato nella morte stessa di Dio che
si è perduto per ritrovarci. Il nostro valore è infinito, pari all’amore di Dio che
l’ha portato a dare la vita per noi. Il Signore dice ad ogni uomo: "Tu sei
prezioso ai miei occhi, sei degno di stimai e ti amo" (Is 43,4).

La dracma mantiene tutto il suo valore anche quando è perduta o ritrovata tra
la spazzatura: l’uomo è il tesoro di Dio anche quando si perde e viene ritrovato
nella spazzatura del peccato e della degradazione.

La parabola del Padre misericordioso e del figlio perduto e ritrovato rivela il
centro del vangelo: Dio come Padre di tenerezza e di misericordia. Egli prova una gioia
infinita quando vede tornare a casa il figlio da lontano, e invita tutti a gioire con lui.

Gesù fin dall’inizio mangia con i peccatori (cfr Lc 5,27-32). Ora invita
anche i giusti. Attaccato da essi con cattiveria, li contrattacca con la sua bontà,
perché vuole convertirli. Ma la loro conversione è più difficile di quella dei
peccatori. Non vogliono accettare il comportamento di Dio Padre che ama gratuitamente e
necessariamente tutti i suoi figli: la sua misericordia non è proporzionata ai meriti, ma
alla miseria. I peccatori a causa della loro miseria sentono la necessità della
misericordia. I giusti, che credono di essere privi di miseria, non accolgono la
misericordia.

Questo brano è rivolto al giusto perché occupi il suo posto alla mensa del
Padre: deve partecipare alla festa che egli fa per il proprio figlio perduto e ritrovato.
Questa parabola non parla della conversione del peccatore alla giustizia, ma del giusto
alla misericordia.

La grazia che Dio ha usato verso di noi, suoi nemici, deve rispecchiarsi nel
nostro atteggiamento verso i nemici (cfr Lc 6, 27-36) e verso i fratelli peccatori (cfr Lc
6,36-38). Il Padre non esclude dal suo cuore nessun figlio. Si esclude da lui solo chi
esclude il fratello. Ma Gesù si preoccupa di ricuperare anche colui che, escludendo il
fratello, si esclude dal Padre.

Nel mondo ci sono due categorie di persone: i peccatori e quelli che si credono
giusti. I peccatori, ritenendosi senza diritti, hanno trovato il vero titolo per
accostarsi a Dio. Egli infatti è pietà, tenerezza e grazia: per sua natura egli ama
l’uomo non in proporzione dei suoi meriti, ma del suo bisogno.

I destinatari della parabola sono gli scribi e i farisei, che si credono giusti.
Gesù li invita a convertirsi dalla propria giustizia che condanna i peccatori, alla
misericordia del Padre che li giustifica. Mentre il peccatore sente il bisogno della
misericordia di Dio, il giusto non la vuole né per sé né per gli altri, anzi, come
Giona (4, 9), si irrita grandemente con Dio perché usa misericordia.

La conversione è scoprire il volto di tenerezza del Padre, che Gesù ci rivela,
volgersi dall’io a Dio, passare dalla delusione del proprio peccato, o dalla
presunzione della propria giustizia, alla gioia di esser figli del Padre.

Radice del peccato è la cattiva opinione sul Padre: e questa opinione è comune
ai due figli. Il più giovane, per liberarsi del Padre, si allontana da lui con le
degradazioni della ribellione, della dimenticanza, dell’alienazione atea e del
nihilismo. L’altro, per imbonirselo, diventa servile.

Ateismo e religione servile, dissolutezza e legalismo, nihilismo e vittimismo
scaturiscono da un’unica fonte: la non conoscenza di Dio. Questi due figli, che
rappresentano l’intera umanità, hanno un’idea sbagliata sul conto del Padre: lo
ritengono un padre-padrone.

Questa parabola ha come primo intento di portare il fratello maggiore ad
accettare che Dio è misericordia. Questa scoperta è una gioia immensa per il peccatore e
una sconfitta mortale per il giusto. E’ la conversione dalla propria giustizia alla
misericordia di Dio. La conversione consiste nel rivolgersi al Padre che è tutto rivolto
a noi e nel fare esperienza del suo amore per tutti i suoi figli. Per questo il giusto
deve accettare un Dio che ama i peccatori. Per accettare il Padre bisogna convertirsi al
fratello.

Padre Lino Pedron begin_of_the_skype_highlighting    

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