sabato 20 marzo 2010

Gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio


Domenica 21 marzo 2010


V Domenica di Quaresima - Anno C


Dal Vangelo secondo San Giovanni (Gv 8,1-11)

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.

Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.

Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.

Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».


Le notti angosciose di Gesù che pregava conoscendo dei nemici l’anima vile, e degli… amici la debolezza e la mancanza di fede

Dopo la proclamazione della sua divinità, Gesù, fattasi sera, se ne andò sul monte Oliveto per pregare. Egli spargeva così sul mondo quelle grazie che ardentemente desiderava donare ed effondeva nel Padre il suo Cuore addolorato.

È difficile formarsi un concetto anche pallido delle pene interne di Gesù innanzi all’incomprensione del popolo e dei suoi medesimi apostoli.

Egli era veramente Dio, e sentiva nella sua Santissima umanità la gloria della sua divina Maestà, e l’infinita ricchezza delle misericordie che veniva a spargere sulla terra; apprezzava da Dio la luce della verità che donava agli uomini, e li vedeva sempre incerti, sospettosi o addirittura ostili.

Vedeva, nei suoi apostoli, la fede titubante, le aspirazioni ancora materiali, dopo tanta divina effusione di spiritualità, il carattere tuttora sospettoso, pronto a svalutare tutto, a vedere oscurità dov’era luce, a giudicare errato ciò che non intendevano, o fallito ciò che secondo essi non rispondeva alle loro piccole vedute.

Considerava, nella sua profondità, la malizia dei suoi nemici, le insidie che gli tendevano, la doppiezza del loro spirito, la completa assenza, in loro, di ogni giustizia, la volontaria cecità, il rinnegamento dell’evidenza, il servilismo del loro animo ad ogni illusione diabolica e ad ogni sopraffazione dei perversi, purché non contrastasse i loro interessi materiali e il loro orgoglio, e gemeva nel suo Cuore.

Egli, poi, sapeva che essi ormai avevano deciso di sbarazzarsi di Lui ad ogni costo, e che, qualunque luce potesse dare e qualunque manifestazione miracolosa, era perfettamente inutile. Questo li metteva nella necessità pratica o inevitabilità di perdersi, ed Egli, che infinitamente li amava, ne era desolato, non potendo forzare la loro volontà libera com’era e non potendoli ridurre con manifestazioni di potenza che li avrebbe resi maggiormente colpevoli. Che cos’erano le angosciose notti della sua preghiera, agonia del suo Cuore divino! Che pena era poi, per Lui, vedere, nell’ambiente che lo circondava, la sintesi di tutti i secoli e di tutte le ingratitudini umane che gravavano fin d’allora sul suo Cuore, perché tutto gli era presente! L’anima nostra si smarrisce in questo profondo mistero di dolore e non sa misurarlo!


L’adultera

Dopo la sua orazione notturna, Gesù, di buon mattino, ritornò nuovamente al tempio, ossia – come esprime il testo greco –, in uno dei fabbricati o dei portici che facevano una sola cosa col tempio propriamente detto.

Il Cuore gli ardeva dal desiderio di comunicarsi alle anime, perché voleva salvarle, e andò Egli stesso a trovarle, per annunciare loro le parole dell’eterna verità e della vita eterna. Il popolo, che ancora numeroso affollava la santa città e dimorava nelle vicinanze del tempio, notò la sua presenza, e gli si accalcò d’intorno per ascoltarlo, nella speranza di assistere anche a qualche prodigio.

Mentre Gesù parlava, ecco che gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa proprio allora in adulterio, e, postala in mezzo all’adunanza, gli dissero che, secondo la Legge di Mosè, doveva essere lapidata, domandandogli che cosa ne pensasse.

Essi non erano affatto mossi dallo zelo per la giustizia e per la Legge, ma speravano porre Gesù in imbarazzo, ed avere occasione di condannarlo. La Legge (cf Dt 22,23-24) comandava che venisse lapidata la fidanzata che avesse mancato di fede al suo promesso sposo; per la donna già maritata comminava semplicemente la pena di morte, senza specificare il genere (cf Lv 20,10).

La donna, dunque, sorpresa nel peccato doveva essere fidanzata. Forse in occasione delle feste, abitando gli Ebrei sotto capanne improvvisate, s’era trovata esposta alla tentazione ed aveva peccato.

Se Gesù avesse giudicato che doveva essere lapidata, i suoi nemici speravano di denunciarlo come crudele innanzi al popolo, e come violatore della legge innanzi ai Romani, i quali non permettevano che l’adulterio fosse punito di morte, e avevano avocato a loro l’esecuzione delle sentenze capitali. Se non l’avesse condannata, l’avrebbero accusato come violatore della Legge di Mosè, e indirettamente come favoreggiatore dei Romani, alle cui leggi e disposizioni avrebbe mostrato di adattarsi.

Gesù Cristo non rispose, ma, chinatosi a terra, cominciò a scrivere, col dito, sulla polvere del pavimento. Questo era un gesto che i rabbini solevano fare quando, interrogati, volevano evitare di rispondere a questioni moleste; Gesù, però, non scriveva indifferentemente sulla terra, ma forse o ricordava i principali precetti della Legge trasgrediti dagli scribi e farisei, o addirittura ricordava i gravissimi peccati da loro commessi. Egli poi, per grande misericordia, volle sottrarre quella povera donna alla curiosità e al disprezzo di quanti erano presenti, attraendo gli sguardi sul pavimento sul quale scriveva, e suscitando in tutti il desiderio di vedere quel che scrivesse.

Gli scribi e farisei, vedendo quello che scriveva, si turbarono e, per impedirgli di continuare, lo premurarono di dare una risposta sollecitamente. Gesù, perciò, alzandosi, disse, in tono di grande solennità e penetrandoli con un raggio di luce che scopriva loro gli orrori della loro coscienza: Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei. E di nuovo, chinatosi, continuò a scrivere sulla terra, forse determinando più specificamente i loro delitti. Si può, infatti, anche supporre che la prima volta abbia tracciato i precetti della Legge da essi trasgrediti, e la seconda volta abbia determinato, con frasi più chiare, le loro trasgressioni.

Certo, gli accusatori, udite le sue parole, se ne andarono uno dopo l’altro, a cominciare dai più vecchi, sulla cui coscienza pesavano le più gravi responsabilità. Con quel suo gesto e con quelle sue parole, Gesù non volle dare un criterio generale di giudizio per le cause legali, ma volle ammonire i privati a non presumere di elevarsi a giudici dei peccatori, essendo anch’essi peccatori. I giudici applicano la Legge, anche se essi sono peccatori, ma chi si trova innanzi al prossimo che manca, deve considerare prima di tutto i propri peccati e, invece di giudicarlo severamente, deve umiliarsi e compatirlo, implorando per lui la divina misericordia.

Gli scribi e i farisei si erano arrogati un diritto che non avevano catturando quell’infelice, proprio essi la cui vita era piena d’infedeltà e di adultèri, e volevano far apparire Gesù come un usurpatore di diritti che spettavano ai giudici della nazione. Egli era Giudice di tutti, ma non volle assumere questa qualità pubblicamente, soppiantando i giudici del popolo, tanto più che, nella sua mortale carriera, era venuto non a giudicare ma ad immolarsi, per meritare a tutti il perdono. Egli, infatti, quando tutti se ne furono andati, si alzò e domandò alla povera donna: Dove sono coloro che ti accusavano? Nessuno ti ha condannato? Essa rispose: Nessuno, Signore.

E Gesù, effondendo nell’anima di lei la sua misericordia, le disse: Neppure io ti condannerò, vattene e non peccare più.

Evidentemente la donna era pentita del suo peccato; diversamente, Gesù non le avrebbe concesso il perdono. Egli, poi, nella sua infinita bontà, le comunicò interiormente una grazia rinnovatrice che la mutò tutta e la rese nuova creatura. Scrivendo per terra, Egli compunse il povero cuore di quell’infelice, ricordandole i precetti di Dio e, mentre i suoi accusatori si dileguarono, ella sola rimase innanzi al Giudice d’amore infinito che la perdonò.


Non giudicate malignamente il prossimo!

Quando noi giudichiamo malignamente il prossimo per i suoi difetti e i suoi peccati, rinnoviamo il gesto degli scribi e dei farisei: trasciniamo quell’anima al giudizio con la nostra mancanza di carità e pretendiamo lapidarla con le nostre invettive e le nostre insinuazioni. Ricordiamoci che siamo peccatori noi per primi, e che non abbiamo davvero il diritto di scagliare per primi le pietre. Quanti peccati abbiamo fatto, e quante responsabilità pesano sulla nostra coscienza! Umiliamoci e, invece di accusare il prossimo, accusiamoci noi innanzi al sacerdote, affinché siamo perdonati dalla misericordia di Dio.

Quando giudichiamo il prossimo, Gesù si curva sulla nostra miseria, e scrive sulla terra della nostra fragile creta, ricordandoci le nostre iniquità; abbiamo tutto l’interesse che Egli le cancelli, e perciò abituiamoci a compatire le debolezze altrui e a meritarci misericordia, usando misericordia.

Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo

Ser

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