sabato 15 gennaio 2011

Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!




Vangelo (Gv 1,29-34)
 29 Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo! 30 Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me. 31 Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele”.
32 Giovanni rese testimonianza dicendo: “Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui.
33 Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo.
34 E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio”.

I tre vangeli sinottici iniziano il racconto della vita pubblica di Gesù ricordando il suo battesimo. Giovanni ignora questo episodio, tuttavia dedica un ampio spazio al Battista. Lo inquadra, fin dai primi versetti, in una prospettiva originale: più che come precursore, lo presenta come “l’uomo mandato da Dio a rendere testimonianza alla luce” (Gv 1,6-8). La sua vita e la sua predicazione suscitano interrogativi, attese e speranze nel popolo, circola addirittura la voce che sia lui il messia. Una delegazione di sacerdoti e leviti va al di là del Giordano per interrogarlo, per avere delucidazioni sulla sua identità e sulla sua opera. Egli risponde: “Io non sono il Cristo… Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio del sandalo” (Gv 1,19-28).
È in questo contesto che si inserisce il nostro brano.

Entra in scena il protagonista – Gesù – da poco evocato dal Battista nel dibattito che ha avuto con gli inviati dei giudei. Al vederlo venire verso di lui esclama: “Eccol’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!” (v. 29).
È un’affermazione che – come vedremo – è densa di significati e di evocazioni bibliche.
Il Battista mostra di avere intuito l’identità, da tutti ancora ignorata, di Gesù. Com’è giunto a scoprirla e perché lo definisce con un’immagine tanto singolare? Mai nell’AT una persona è stata chiamata “agnello di Dio”. L’espressione segna il punto di arrivo del suo lungo e certamente faticoso cammino spirituale; è partito, infatti, dall’ignoranza più completa: “Io non lo conoscevo” – ripete per due volte (vv. 31.33).
Chiunque voglia giungere “alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù” (Fil 3,8) deve cominciare a prendere coscienza della propria ignoranza.

È strana – dicevamo – l’immagine dell’agnello di Dio. Il Battista ne aveva a disposizione altre: pastore, re, giudice severo. Quest’ultima l’ha anche impiegata: “Viene uno più forte di me… Ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile” (Lc 3,16-17). Ma – nella sua mente – nessuna riassumeva la sua scoperta dell’identità di Gesù meglio di quella dell’agnello di Dio.
Educato probabilmente fra i monaci esseni di Qumran, aveva assimilato la spiritualità del suo popolo, ne conosceva la storia e aveva dimestichezza con le Scritture. Pio israelita, sapeva che i suoi ascoltatori, sentendolo accennare all’agnello, avrebbero immediatamente intuito l’allusione all’agnello pasquale il cui sangue, posto sugli stipiti delle case, in Egitto aveva risparmiato i loro padri dall’eccidio dell’angelo sterminatore. Il Battista ha intravisto il destino di Gesù: un giorno sarebbe stato immolato, come agnello, e il suo sangue avrebbe tolto alle forze del male la capacità di nuocere; il suo sacrificio avrebbe liberato l’uomo dal peccato e dalla morte. Notando che Gesù è stato condannato a mezzogiorno della vigilia di pasqua (Gv 19,14), l’evangelista Giovanni ha certamente voluto richiamare questo stesso simbolismo. Era infatti quella l’ora in cui, nel tempio, i sacerdoti cominciavano a immolare gli agnelli.
C’è una seconda allusione nelle parole del Battista.
Chi ha presente le profezie contenute nel libro di Isaia – e ogni israelita le conosceva molto bene – non può non percepire il richiamo alla fine ignominiosa del Servo del Signore del quale abbiamo sentito parlare anche nella prima lettura di oggi. Ecco come il profeta descrive il suo incamminarsi verso la morte: “Era come agnellocondotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori… è stato annoverato fra gli empi, mentre invece portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori” (Is 53,7.12).
In questo testo, l’immagine dell’agnello è collegata alla distruzione del peccato.
Gesù – intendeva dire il Battista – si farà carico di tutte le debolezze, di tutte le miserie, di tutte le iniquità degli uomini e, con la sua mitezza, con il dono della sua vita, le annienterà. Non eliminerà il male concedendo una specie di amnistia, un condono, una sanatoria; lo vincerà introducendo nel mondo un dinamismo nuovo, una forza irresistibile – il suo Spirito – che porterà gli uomini al bene e alla vita.
Il Battista ha in mente un terzo richiamo biblico: l’agnello è associato anche al sacrificio di Abramo.
Isacco, mentre cammina a fianco del padre verso il monte di Moria, chiede: “Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?”. Abramo risponde: “Dio stesso provvederà l’agnello” (Gn 22,7-8).
“Eccolo l’agnello di Dio!” – risponde ora il Battista – è Gesù, donato da Dio al mondo perché sia sacrificato in sostituzione dell’uomo peccatore meritevole di castigo.
Anche i dettagli del racconto della Genesi (Gn 22,1-18) sono ben noti e il Battista intende applicarli a Gesù. Come Isacco, egli è il figlio unicoil benamato, colui cheporta la legna dirigendosi al luogo del sacrificio. A lui si adattano anche i particolari aggiunti dai rabbini. Isacco – dicevano questi – si era offerto spontaneamente; invece di fuggire, si era consegnato al padre per essere legato sull’altare. Anche Gesù ha donato liberamente la sua vita per amore.
A questo punto viene da chiedersi se davvero il Battista avesse presenti tutti questi richiami biblici quando, per due volte, rivolto a Gesù, ha dichiarato: “Ecco l’agnello di Dio” (Gv 1,29.36).
Lui forse no, ma certamente li aveva presenti l’evangelista Giovanni che intendeva offrire una catechesi ai cristiani delle sue comunità e a noi.

Nella seconda parte del brano (vv. 32-34) viene presentata la testimonianza del Battista: egli riconosce come “Figlio di Dio” colui sul quale ha visto scendere e rimanere lo Spirito. Il riferimento è alla scena del battesimo narrata dai sinottici (Mc 1,9-11). Giovanni introduce però un particolare significativo: lo Spirito non solo è visto discendere su Gesù, ma rimanere in lui.
Nell’AT si parla spesso dello spirito di Dio che prende possesso degli uomini conferendo loro forza, determinazione, coraggio, tanto da renderli irresistibili. Si parla di una sua discesa sui profeti che vengono abilitati a parlare in nome di Dio; ma la caratteristica di questo spirito è la sua provvisorietà: permane in queste persone privilegiate fino a quando hanno portato a termine la loro missione, poi le lascia ed esse ritornano normali, svanisce ogni loro abilità, intelligenza, sapienza, forza superiore. In Gesù invece lo Spirito rimane in modo duraturo, stabile. La stabilità nella Bibbia è attribuita soltanto a Dio: solo lui è “il vivente che rimane in eterno” (Dn 6,27); solo la sua parola “rimane in eterno” ( 1 Pt 1,25).
Attraverso Gesù lo Spirito è entrato nel mondo. Nessuna forza avversa lo potrà mai scacciare o vincere e da lui sarà effuso su ogni uomo. È il battesimo “in Spirito Santo” annunciato dal Battista (v. 33). Uniti intimamente a Cristo, come tralci a una vite rigogliosa e piena di linfa, i credenti porteranno frutti abbondanti (Gv 15,5), dimoreranno in Dio e Dio in loro (1 Gv 4,16), riceveranno la stabilità nel bene che è propria di Dio, perché, mentre “il mondo passa con la sua concupiscenza, chi fa la volontà di Dio rimane saldo in eterno” (1 Gv 2,17).
È questo il messaggio di speranza e di gioia che, attraverso il Battista, Giovanni, fin dalla prima pagina del suo vangelo, vuole annunciare ai discepoli. Nonostante l’evidente strapotere del male nel mondo, ciò che attende l’umanità è la comunione di vita “col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo”. Queste cose – dice Giovanni – le scrivo “perché la nostra gioia sia perfetta” (1 Gv 1,3-4).
Fernando Armellini (biblista)

Nessun commento: