sabato 27 novembre 2010

Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà.

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Vangelo (Mt 24,37-44)

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: 37 “Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. 38 Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell’arca, 39 e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell’uomo. 40 Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l’altro lasciato.41 Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l’altra lasciata.
42 Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43 Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44 Perciò anche voi state pronti, perché nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’uomo verrà”.

Il linguaggio impiegato in questo brano evangelico può dar luogo a interpretazioni stravaganti (o addirittura a farneticazioni) sulla fine del mondo e sui castighi di Dio; può anche essere ridotto all’invito a stare sempre pronti, perché la morte può giungere improvvisa e cogliere impreparati. Queste interpretazioni hanno origine dalla mancata comprensione del genere letterario “apocalittico”, che era molto usato al tempo di Gesù, ma che è piuttosto alieno dalla nostra mentalità e cultura.
Un principio va sempre tenuto presente: il vangelo è, per sua natura, buona notizia, annuncio di gioia e speranza. Chi se ne serve per incutere spavento e per creare angosce – si può esserne certi – lo sta usando in modo scorretto, si è allontanato dal vero significato del testo.
Nel brano di oggi – è vero – i toni sono minacciosi: cataclismi, distruzioni, pericoli di morte. Il linguaggio è volutamente duro ed incisivo, le immagini sono quelle del giudizio punitivo perché Gesù vuole mettere in guardia dal grave pericolo di perdere le opportunità di salvezza che il Signore offre. La negligenza, l’insipienza, la mancanza di attenzione ai segni dei tempi, l’insensibilità spirituale conducono alla catastrofe. Chi perde la testa per le realtà di questo mondo e si lascia assorbire dagli affari, chi vive nel torpore, nell’ottundimento, nella ricerca dei piaceri, va incontro a un drammatico risveglio.
Ma che significano queste immagini? Richiamiamo il contesto da cui il brano è tolto.
Un giorno i discepoli invitano il Maestro ad ammirare la magnifica costruzione del tempio. Invece di condividere il loro giustificato orgoglio, Gesù li sorprende con una profezia: “Vedete tutte queste cose? Vi assicuro: non resterà qui pietra su pietra che non venga diroccata” (Mt 24,2). Gerusalemme che rifiuta di convertirsi sta decretando la propria rovina.
Stupiti, i discepoli gli rivolgono allora due domande: quando accadrà questo e quali saranno i segni premonitori (Mt 24,3).
Invece di soddisfare la loro curiosità, Gesù risponde introducendo un insegnamento che è attuale per gli uomini di ogni tempo: è necessario mantenersi vigilanti. Per chiarire meglio, cita tre esempi.
Il primo è preso da un racconto della Bibbia (Gn 6-9). Al tempo di Noè vivevano due categorie di persone: alcune pensavano unicamente a mangiare, bere e divertirsi; erano impreparate e perirono. Altre erano vigilanti, attente a ciò che poteva accadere, si resero conto che il diluvio si stava avvicinando, si salvarono e diedero inizio ad un’umanità nuova (vv. 37-39).
Come il diluvio giunse all’improvviso, così – dichiara Gesù – giungerà, repentina, la rovina di Gerusalemme. Come al tempo di Noè molti perirono, così anche i giudei che non vorranno riconoscere in lui l’inviato di Dio e non ascolteranno la sua parola, periranno nella catastrofe della città. Coloro invece che avranno gli occhi e il cuore aperto per riconoscere e accogliere il suo messaggio si salveranno e daranno inizio a un nuovo popolo.
Il secondo esempio prende spunto dalle attività che gli uomini e le donne del popolo svolgevano ogni giorno: il lavoro nei campi e la preparazione della farina per fare il pane (vv. 40-41). Proprio mentre si vivono le situazioni più normali e apparentemente più banali, alcuni si mantengono attenti, si comportano da persone sagge e scorgono il Signore che viene. Altri invece sono distratti, sbadati, negligenti e pongono le premesse della loro rovina. Le azioni che compiono sembrano identiche: si impegnano nel lavoro, si guadagnano da vivere, mangiano, bevono, si sposano; è il modo di svolgerle che è radicalmente diverso. Alcuni sono attenti, si lasciano guidare dalla luce di Dio e “vengono presi”, cioè salvati; altri sono sopraffatti dalle preoccupazioni di questo mondo, non tengono presenti i “giudizi di Dio” e “vengono lasciati”, cioè non sono coinvolti nella realtà nuova del regno di Dio.
La decisione da prendere è urgente e drammatica: si tratta di scegliere fra la vita e la morte; per questo Gesù insiste: “Vigilate, perché non sapete in quale giorno il Signore verrà” (v. 42). Vale la pena ripeterlo: Gesù non verrà per la resa dei conti al termine della nostra vita, viene oggi, con il suogiudizio salvifico.
Il terzo esempio è ancora più chiaro: il ladro non avvisa prima di arrivare; per questo il padrone non può assopirsi, neppure un istante, deve mantenersi sveglio, altrimenti rischia di vedersi involare tutti i suoi averi (v. 43).
Sorprendente questo Dio! Si comporta come un ladro e sembra voler approfittare del momento in cui l’uomo è impreparato per venirlo a visitare.
L’immagine forse non è delle migliori perché suggerisce più l’idea della minaccia che della salvezza, ma è efficace; è un campanello d’allarme: richiama l’attenzione sull’incombente pericolo di non accorgersi del momento favorevole, del giorno in cui il Signore viene per coinvolgerci nella sua pace.
Anche gli abitanti di Gerusalemme – intendeva dire Gesù – avrebbero dovuto vigilare per non essere colti di sorpresa dalla tragedia che poi li ha raggiunti. In un’altra occasione Gesù ha espresso così il suo accorato appello: “Gerusalemme, Gerusalemme che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!” (Mt 23,37).
La conclusione finale riprende il tema conduttore del brano e lo applica ai discepoli di ogni tempo: “Anche voi state pronti, perché nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’uomo verrà” (v. 44).
Sappiamo bene cosa significhi perdere occasioni favorevoli. Tante volte ne abbiamo fatto l’esperienza. Quanto più sono sorprendenti e inattese, quanto più escono dai nostri canoni e si allontanano dai nostri criteri di giudizio, tanto più è facile lasciarsele sfuggire.
Le venute di Dio nella nostra vita sono sempre difficili da cogliere perché non si adeguano alla “saggezza umana”, sono incompatibili, sono in contrasto con la mentalità corrente.
Solo chi è “vigilante” le sa riconoscere e “viene salvato”, qui ed ora.

Fernando Armellini (biblista)

sabato 20 novembre 2010

Solennità di Cristo Re domenica 21 novembre 2010




Vangelo (Lc 23,35-43)

35 Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: “Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto”.
36 Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell’aceto, e dicevano: 37“Se tu sei il re dei giudei, salva te stesso”. 38 C’era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei giudei.
39 Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!”.40 Ma l’altro lo rimproverava: “Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? 41 Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”. 42 E aggiunse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”.
43 Gli rispose: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”.

Gli israeliti si aspettavano un grande re.
Lo sognavano ricco, avvolto in abiti preziosi, forte, seduto su un trono d’oro. Volevano vederlo dominare su tutti i popoli e umiliare i nemici, costringendoli a prostrarsi ai suoi piedi e a lambire la polvere (Sal 72,9-11). Nutrivano la speranza che il suo regno sarebbe stato eterno ed universale.
Nel brano evangelico viene presentata la risposta di Dio a queste attese.
Siamo sul Calvario, Gesù è inchiodato sulla croce, due banditi al suo fianco, sopra il suo capo una scritta: Questi è il re dei giudei (v.38).
Sarebbe costui l’atteso figlio di Davide?
No, non è possibile: costui è solo uno sventurato.Dove sono i segni della regalità?
Egli non domina dall’alto di un trono d’oro, si trova inchiodato su una croce; non è circondato da servi che lo ossequiano, che si inchinano ai suoi piedi; non ci sono soldati pronti a scattare ad ogni suo ordine.
Egli si trova davanti a persone che lo insultano, che lo deridono; non indossa paludamenti lussuosi, è completamente nudo.
Non minaccia nessuno, usa parole di amore e di perdono per tutti; non costringe i suoi nemici a lambire la polvere, è lui che beve dell’aceto. Al suo fianco non ha i suoi ministri, i generali dell’esercito, ma due malfattori.
Un giorno Giacomo e Giovanni gli avevano chiesto: “Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra” (Mc 10,37). Avessero saputo cosa stavano domandando...
Che strana regalità quella di Gesù! E’ l’opposto di quella che gli uomini sono abituati ad immaginare.
Purtroppo molti cristiani non hanno coltivato speranze diverse dai giudei: hanno identificato il regno di Cristo con le vittorie e i trionfi e con il rispetto che i capi della chiesa riuscivano ad incutere ai grandi di questo mondo.
L’iscrizione posta sulla croce proclama re dei giudeiun uomo sconfitto, incapace di difendersi, privo di qualunque potere. Un re così fa crollare tutti i nostri progetti. Ritorna allora, insistente, la domanda: com’è possibile che sia costui il messia promesso?.
Vediamo da vicino le tre scene che vengono descritte nel Vangelo di oggi.

Nella prima (vv.35-37) vengono introdotti tre gruppi di persone che si trovano ai piedi della croce, ai piedi del “re”.
E’ presente anzitutto il popolo. Come si comporta? Non fa nulla, né di bene né di male: sta ad osservare (v.35). E’ stupito, sembra non rendersi conto di ciò che sta accadendo. Non capisce come un uomo che muore senza reagire possa essere il re tanto atteso.
E’ un giusto, ma perché allora Dio non interviene per salvarlo?
Abbiamo notato più volte durante quest’anno liturgico che Luca nutre grande simpatia per i poveri, per gli ultimi, per la gente semplice. Questo evangelista ci presenta il popolo muto e perplesso ai piedi della croce: vuole dirci che non è responsabile della morte di Gesù. Pochi versetti più avanti noterà: “Tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto” (Lc 23,48).
Il popolo stupito rappresenta tutta quella gente ben disposta che vorrebbe capire il progetto di Dio, ma non riesce perché chi la dovrebbe illuminare è, a sua volta, cieco.

Oltre al popolo, ai piedi della croce ci sono i capi. Eccoli i veri responsabili! Essi, come gli anziani d’Israele che a Ebron hanno unto re Davide, dovrebbero riconoscere in Gesù il messia promesso. Invece lo scherniscono: non è il re che a loro piace, è uno sconfitto, è incapace di salvare se stesso, non scende dalla croce (v.35).
Perché Gesù non dà la prova che essi chiedono? Perché non scende dalla croce? Perché non compie il miracolo? Se lo facesse convincerebbe tutti ed eviterebbe un enorme crimine.
Se scendesse dalla croce, tutti crederebbero. Ma in che cosa? Nel Dio forte e potente, nel Dio che sconfigge e umilia i nemici, che risponde colpo su colpo alle provocazioni degli empi, che incute timore e rispetto, che non scherza... E questo non è il Dio di Gesù.
Se scendesse dalla croce tradirebbe la sua missione: avvallerebbe l’idea falsa di Dio che le guide spirituali del popolo hanno in mente. Confermerebbe che il vero Dio è quello che i potenti di questo mondo hanno sempre adorato perché è simile a loro: forte, arrogante, oppressore, vendicativo, armato.
Questo Dio forte è incompatibile con quello che ci è rivelato da Gesù in croce: il Dio che ama tutti, anche chi lo combatte, che perdona sempre, che salva, che si lascia sconfiggere per amore.
Dio non è onnipotente perché con il suo immenso potere può fare ciò che vuole, ma perché ama in modo immenso, perché si mette senza limiti e senza condizioni a servizio dell’uomo. La sua non è l’onnipotenza del dominio, ma del servizio. Lo abbiamo visto in Gesù che si china per lavare i piedi ai discepoli: quello è volto autentico del Dio onnipotente, del re dell’universo.

Il terzo gruppo che si trova ai piedi della croce è composto dai soldati. Si tratta di poveri uomini, strappati alle loro famiglie e mandati, per pochi soldi, a commettere violenze contro un popolo dalla lingua, dai costumi e dalla religione differenti.
Lungi dalle loro mogli, dai figli, dagli amici, hanno smarrito tutti i sentimenti umani e si sfogano contro uno più debole di loro. Più che colpevoli, sono vittime della follia di altri superiori a loro.
Essi sanno soltanto eseguire ordini, non possono manifestare una loro opinione, ripetono le parole che hanno sentito proferire dai loro capi: “Se sei il re dei giudei, salva te stesso” (v.36).
Per paura, per pochi soldi, per ignoranza hanno venduto la propria testa e la propria coscienza; collaborano all’ingiustizia, al sopruso, alla violenza contro i più deboli.
Sono stati educati a credere soltanto nella forza e chi confida nelle armi rispetta chi vince e schernisce chi perde. Ora Gesù è dalla parte degli sconfitti.

La seconda scena (v. 38) occupa il centro del brano. Presenta la scritta posta sopra il capo di Gesù.
Luca sembra rivolgere un invito ai cristiani delle sue e delle nostre comunità: contemplate il re inchiodato sulla croce! Di fronte a lui diviene ridicola ogni bramosia di gloria, ogni volontà di dominio, ogni desiderio di raggiungere i primi posti. Dall’alto della croce Gesù indica a tutti chi è il re scelto da Dio: è colui che accetta l’umiliazione, che sa che l’unico modo per dare gloria a Dio è quello di scegliere l’ultimo posto per servire il povero.

Abbiamo contemplato ciò che avviene ai piedi della croce, poi abbiamo considerato l’iscrizione posta sopra.
La terza scena (vv.39-43) si svolge ai lati di Gesù, dove sono crocifissi due malfattori.
Come il popolo, come i capi, come i soldati, uno dei due non comprende nulla. L’unica cosa che si aspetta dal messia è la liberazione dal supplizio al quale è stato sottoposto; Gesù non lo aiuta, si mostra incapace di esaudire la sua richiesta.
Il secondo malfattore è l’unico che riconosce in Gesù il re atteso: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”.
Lo chiama per nome. Ha capito che con lui può usare questa confidenza. Lo sente amico, l’amico di chi ha avuto una vita devastata. Non lo considera un “signore”, ma un compagno di viaggio, uno che ha accettato di subire, pur essendo giusto, la sorte degli empi.
Da Gesù non si aspetta una liberazione miracolosa, chiede solo di compiere con lui gli ultimi passi della vita, di quella vita che è stata un susseguirsi di errori e di crimini.
Gesù gli promette: “Oggi sarai con me nel paradiso”.
La storia di questo malfattore è quella di ogni uomo: chi non si è comportato come lui? Chi qualche volta non ha stroncato la vita di qualche fratello con l’odio, le calunnie, le ingiustizie? Chi non ha provocato piccoli o grandi disastri nella società, nelle famiglie, nella comunità cristiana?
In fondo al cuore, molti continuano a pensare che, sulla croce, la regalità di Gesù non è stata ben celebrata. Quello è stato solo un momento infausto. La manifestazione vera avrà luogo più tardi, alla fine del mondo, al momento della resa dei conti. Allora si vedrà brillare la gloria di Cristo: egli giungerà con il suo esercito di angeli e mostrerà a tutti, specialmente a chi lo ha crocifisso la sua potenza.
Prima di morire, Gesù ha pronunciato una sentenza di assoluzione nei confronti dei suoi carnefici. Sarà valida anche alla fine o si è trattato di un’affermazione provvisoria e suscettibile di revisioni? Sarà vero che coloro che lo hanno condannato e ucciso non sapevano quello che facevano (Lc 23,34)? Forse qualcuno ritiene che sul Calvario Gesù non era nelle condizioni ideali per valutare obiettivamente le responsabilità di coloro che lo stavano crocifiggendo e, ancor meno, per manifestare tutta la sua gloria.
Bene, se ancora coltiviamo simili pensieri, non abbiamo colto il volto di Dio che Gesù ci ha rivelato.
Il processo contro chi ha ucciso Gesù – sia ben chiaro! – non verrà riaperto; non ci sarà una revisione della sentenza. Gesù ha pronunciato il suo giudizio definitivo: ha assolto i suoi carnefici, li ha salvati nel momento più glorioso della sua vita: quando, sulla croce, ha manifestato il massimo del suo amore.
Per noi un re trionfa quando vince, sconfigge, umilia. Tentiamo in tutti i modi di adeguare l’immagine di Cristo re a quella dei re di questo mondo. Non vogliamo credere che egli trionfa nel momento in cui perde, nel momento in cui dona la vita.
Questo sovrano che regna dall’alto di una croce ci disturba perché esige un cambiamento radicale delle scelte della nostra vita. Esige, per esempio, che si offra il perdono incondizionato a tutti coloro che ci fanno del male.
In questa prospettiva anche il giudizio finale non può essere temuto, ma va atteso con gioia perché... avverrà a parti invertite.
Alla fine non sarà Dio a giudicare noi, ma noi a “giudicare” lui.
Spogliati delle miserie, meschinità e grettezze che hanno appesantito la nostra mente e irrigidito il nostro cuore, curati dalla cecità spirituale che ci ha impedito di comprendere le Scritture (Lc 24,25), “contempleremo il suo volto” (Ap 22,4), “lo vedremo come egli è” (1 Gv 3,2). Allora saremo in grado di pronunciare un “giudizio” obiettivo su di lui. Stupiti saremo costretti ad ammettere: Dio è più grande del nostro cuore (1 Gv 3,20).

Fernando Armellini (biblista)



sabato 13 novembre 2010

“Nemmeno un capello del vostro capo perirà”.



Vangelo (Lc 21,5-19) domenica 14 novembre 2010

5 Mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, Gesù disse: 6 “Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta”. 7 Gli domandarono: “Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?”.
8 Rispose: “Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: "Sono io" e: "Il tempo è prossimo"; non seguiteli. 9 Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine”.
10 Poi disse loro: “Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, 11 e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo.12 Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome.13 Questo vi darà occasione di render testimonianza. 14 Mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa; 15 io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere. 16 Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi;17 sarete odiati da tutti per causa del mio nome. 18 Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà. 19 Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime”.

Luca scrive il suo Vangelo verso l’anno 85 d.C.: nei cinquant’anni che sono trascorsi dalla morte e risurrezione di Gesù sono accaduti fatti tremendi. Ci sono state guerre, rivoluzioni politiche, catastrofi, il tempio di Gerusalemme è stato distrutto, i cristiani sono vittime di ingiustizie e persecuzioni.
Come spiegare avvenimenti tanto drammatici?
Qualcuno ricorre alle parole del Maestro: “Vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti... metteranno le mani su di voi” (vv.11-12). Ecco la spiegazione! – si comincia a dire – Gesù aveva previsto tutto.
Le disgrazie (specialmente la distruzione del tempio di Gerusalemme) sono segni della fine del mondo che si avvicina e del Signore che sta per tornare sulle nubi del cielo.
Il Vangelo di oggi vuole rispondere a queste false attese e corregge l’interpretazione errata che alcuni davano alle parole del Maestro.
Già allora il suo linguaggio apocalittico si prestava ad essere frainteso.
Esaminiamo il brano nei dettagli.

Alcune persone si accostano a Gesù che si trova nel tempio e lo invitano ad ammirarne la bellezza: le enormi pietre di calcare bianco squadrate in modo perfetto dagli operai di Erode, le decorazioni, gli ex-voto, la vite d’oro che pende dalle pareti del vestibolo e che si estende sempre più attraverso i tralci offerti dai fedeli, la facciata ricoperta di placche d’oro dello spessore di una moneta… Con ragione i rabbini sostenevano: “Chi non ha visto il tempio di Gerusalemme non ha contemplato la più bella fra le meraviglie del mondo”.
La risposta di Gesù è sorprendente: “Di tutto quello che ammirate non resterà pietra su pietra”. Stupiti allora gli chiedono: “Quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?” (vv. 5-7).
Gesù non può specificare la data: non la conosce, come non conosce il giorno e l’ora della fine del mondo (Mt 24,36). Egli non è un mago, un indovino, per questo non risponde.
Come mai Luca introduce questo episodio? Lo fa per una sua preoccupazione pastorale: vuole mettere in guardia le sue comunità da chi confonde i sogni con la realtà. Alcuni esaltati attribuivano a Gesù predizioni che erano soltanto frutto di speculazioni stravaganti.
L’evangelista invita i cristiani a smettere di inseguire fole ed a riflettere sull’unica cosa che deve interessare: cosa fare, concretamente, per collaborare all’avvento del mondo nuovo, del regno di Dio.
I “falsi profeti” hanno sempre rappresentato un pericolo serio per le comunità cristiane e Luca ricorda che anche Gesù si è premurato di mettere in guardia i suoi discepoli da coloro che assicurano che la fine del mondo è vicina. Ha raccomandato vivamente: “Non seguiteli!” (vv. 8-9). La fine non verrà presto; la gestazione del mondo nuovo sarà difficile e lunga.

Cosa accadrà nel tempo che intercorre tra la venuta del Signore e la fine del mondo?
Gesù risponde a questa domanda ricorrendo al linguaggio apocalittico.
Parla di sollevazioni di popoli contro popoli, di terremoti, carestie e pestilenze, di fatti terrificanti, di segni grandi nel cielo (vv. 10-11). Questi verranno ripresi ed esplicitati poco dopo: “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte” (Lc 21,25-26). Che intende dire?
Una delle idee ricorrenti al tempo di Gesù era che il mondo fosse ormai troppo corrotto e che presto sarebbe stato sostituito da una realtà nuova fatta germogliare da Dio. Si diceva che nel momento del passaggio dall’antico al nuovo, gli uomini sarebbero stati colti da grande spavento, i popoli e le nazioni sarebbero stati sconvolti, ci sarebbero state violenze, malattie, disgrazie, guerre. Il sole sarebbe apparso durante la notte e la luna durante il giorno; gli alberi avrebbero cominciato a versare sangue, le pietre a spezzarsi e a lanciare urla.
Questo linguaggio, queste immagini erano molto note.
Gesù se ne serve per dire ai discepoli che è imminente il passaggio fra le due epoche della storia. Il suo è un annuncio di gioia e di speranza: chi è nel dolore e attende il regno di Dio deve sapere che sta per spuntare l’aurora di un nuovo, splendido giorno. Ecco la ragione per cui esorta i discepoli a non spaventarsi: non vi terrorizzate (v.9) e, un poco oltre, raccomanda: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (Lc 21,28).

Dopo aver invitato a considerare il tempo di attesa del suo ritorno come una gestazione che prepara il parto, Gesù preannuncia le difficoltà che i suoi discepoli dovranno affrontare (vv.12-19).
Quale sarà il segno che il regno di Dio sta nascendo e per instaurarsi nel mondo?
Non i trionfi, gli applausi, l’approvazione degli uomini, ma le persecuzioni.
Gesù prevede per i suoi discepoli: la prigione, le calunnie, il tradimento da parte degli stessi familiari e dei migliori amici.
In queste situazioni difficili essi potranno essere tentati di scoraggiarsi, penseranno di avere sbagliato le scelte della loro vita.
Perché sopportare tante sofferenze e fare tanti sacrifici? Tutto inutile: gli empi continueranno sempre a prosperare, a commettere violenze, ad avere la meglio sui giusti. Gesù risponde che questo non accadrà. Dio guida gli avvenimenti della vita degli uomini e orienta anche i progetti dei malvagi al bene dei suoi figli ed alla instaurazione del Regno.
Mettetevi bene in mente di non preparare la vostra difesa” – raccomanda ancora. Che significa? I discepoli dovranno forse attendersi liberazioni miracolose?
No. Gesù li mette in guardia dal pericolo di fidarsi dei ragionamenti e dei calcoli che sono soliti fare gli uomini.
Se i suoi discepoli crederanno di potersi difendere utilizzando la logica di questo mondo, invece di quella di Dio, si porranno sullo stesso piano dei loro oppositori e perderanno.
Dovranno accettare serenamente il fatto che essi non possono ricorrere ai metodi di chi li perseguita: la calunnia, l’ipocrisia, la corruzione, la violenza. Dovranno convincersi che la loro forza sta in ciò che gli uomini considerano fragilità e debolezza. Sono pecore in mezzo ai lupi, non possono travestirsi da lupi.
Se davvero saranno coerenti con le esigenze della loro vocazione, sarà Gesù, buon pastore, a difenderli. Darà loro una forza alla quale nessuno potrà resistere: la forza della verità, dell’amore, del perdono.
Infine Gesù richiama un’espressione molto usata al suo tempo: “Nemmeno un capello del vostro capo perirà”. Non promette di preservare i suoi discepoli da qualunque sventura e pericolo. I cristiani perseguitati non devono attendersi liberazioni miracolose:perderanno i loro beni, il lavoro, la reputazione e forse anche la stessa vita a causa del Vangelo. Tuttavia, nonostante le apparenze contrarie, il regno di Dio continuerà ad avanzare.
Coloro che hanno sacrificato se stessi per Cristo, forse non coglieranno i frutti del bene che hanno seminato, ma devono coltivare la gioiosa certezza che i frutti saranno abbondanti. In questo mondo non verrà riconosciuto il valore del loro sacrificio. Saranno dimenticati, forse maledetti, ma Dio – ed è il suo giudizio quello che conta! – darà loro la ricompensa nella risurrezione dei giusti.

Padre Fernando Armellini (biblista)