Siamo pecorelle di Gesù, e dobbiamo andare dietro a Lui con grande docilità.
Domenica 25 aprile 2010 IV Domenica di Pasqua Anno C
† Dal Vangelo secondo San Giovanni Gv 10,27-30
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
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Gesù proclama la sua divinità alla festa della dedicazione, e i Giudei irrompono contro di Lui per lapidarlo
La festa della Dedicazione del tempio era stata istituita da Giuda Maccabeo, in memoria della purificazione del tempio fatta dopo le profanazioni del luogo santo consumate da Antioco Epifane. Essa cominciava il 25 del nono mese, detto Casleu, novembre-dicembre, e durava otto giorni. Si chiamava anche festa dei lumi, per le illuminazioni che si solevano fare in quella circostanza.
Gesù camminava sotto il portico di Salomone. Questo portico, risparmiato dai Caldei nella distruzione di Gerusalemme, sorgeva al lato orientale dell’atrio dei pagani, e Gesù vi passeggiava pregando, con lo sguardo al Padre, in un atteggiamento pensoso e raccolto che dovette impressionare i Giudei, divisi com’erano da una doppia tendenza, e incerti sul modo come dovevano riguardare Gesù. Si affollarono perciò intorno a Lui e gli domandarono: Fino a quando terrai sospesa l’anima nostra? Se tu sei il Cristo diccelo apertamente.
Probabilmente non gli fecero questa domanda insidiosamente per avere occasione di condannarlo, perché non gli chiesero se fosse il Figlio di Dio, ma se fosse il Cristo. Essi, però, non si accorgevano di non avere l’anima disposta a sentire la verità, anzi molti di loro avrebbero inconsciamente desiderato che Egli avesse risposto come il Battista: Non sono io il Cristo. C’è, a volte, nelle domande che si fanno, una strana psicologia; s’interroga con la risposta già formulata, si chiede più per sentir confermato quello che si pensa che per essere veramente consigliati; si è certi che non ci si può rispondere diversamente. Gesù Cristo, che conosceva bene il cuore dei suoi interlocutori, rispose: Ve lo dico e voi non credete; ve lo dico con le parole e ve lo dico anche con le opere, poiché le opere che compio nel nome del Padre mio, queste rendono testimonianza di me. Già sapete, dunque, quale risposta io posso dare alla vostra domanda, ma voi non la intendete perché non siete delle mie pecorelle.
Le mie pecorelle ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi vengono dietro; io do loro la vita eterna, esse non periranno in eterno, e nessuno me le strapperà di mano. Gesù Cristo non voleva dire che essi erano impossibilitati a credere quasi per un destino ineluttabile ma che non essendo sue pecorelle cioè, non seguendolo con amore e col desiderio d’essere guidati, illuminati e pascolati da Lui, non intendevano le sue parole e non davano peso o significato ai suoi miracoli. Egli li aveva chiamati, li voleva come sue pecorelle, ardeva dal desiderio di averli, ma essi si rifiutavano di seguirlo, e quindi rendevano impossibile in loro la penetrazione e la luce della verità. Se l’avessero seguito come sue pecorelle, avrebbero capito le sue parole, e inteso il significato dei suoi miracoli, sarebbero stati in comunione con Lui e avrebbero avuto la bella speranza della salvezza eterna.
Gli scribi e farisei cercavano, in realtà, non di sapere la verità, ma di strappargli le anime, mettendole in imbarazzo, e presumendo di disingannarle, poi, con le stesse sue parole; perciò Gesù, in un impeto d’amore, quasi serrandosi al Cuore le sue pecorelle fedeli, disse: Nessuno me le strapperà di mano. Quando esse vengono a me, io le nutro e le sostento con la grazia che il Padre mio mi ha data, e questa incomparabile ricchezza sorpassa ogni cosa, è superiore a qualunque insidia e a qualunque forza umana o diabolica. Nessuno potrà rapire le anime dalle mani del Padre mio e dalle mie mani, poiché io e il Padre siamo una sola cosa.
Dicendo questo, il Redentore rispose anche alla domanda che gli era stata fatta; Egli non solo era il Cristo che veniva a salvare le anime, ma era il Figlio di Dio, una cosa col Padre, consustanziale a Lui, e veramente distinto da Lui: Io e il Padre, siamo una sola cosa.
Quanto è difficile vivere nel mondo e conversare con le creature!...
Siamo pecorelle di Gesù, e dobbiamo andare dietro a Lui con grande docilità. È un titolo di sommo onore e un’immensa grazia. Che c’importa del mondo? Non ci accorgiamo che la vita sfugge e che il mondo non è nostra eredità? Ci siamo per morirvi, e possiamo dire che esso è la nostra bara che si forma quasi a strati a strati con gli anni della nostra vita. Ogni giorno vi aggiunge una particella, e l’ultimo giorno della vita la trova completa. Ora, chi si attaccherebbe alla sua bara?
Andiamo dietro a Gesù, buon Pastore, vita e risurrezione nostra; ogni giorno passato con Lui ci prepara alla vita eterna e alla risurrezione, ogni comunione con Lui è un contatto d’immortalità, ogni conversazione con Lui è un’inondazione di luce e di grazia per noi, poiché Egli solo è la Via, la Verità e la Vita. Vivendo con Gesù e di Gesù saremo certi di vivere un giorno nell’eterna gioia, poiché nessuno potrà strapparci da Lui.
Solo Gesù c’intende e si fa intendere da noi...
È tanto difficile vivere nel mondo e conversare con le creature; è tanto arduo intendersi e farsi intendere; occorre una continua vigilanza e molta prudenza per non generare, anche con le persone più care, incidenti spiacevoli, e si vive quasi palpitando di angosciosa incertezza.
Gli angoli del mondo che crediamo illuminati dalla scienza e dall’arte, ahimè, da lontano affascinano, ma da vicino sono pieni di nebbia, e soffocanti per la polvere della materia che vi si leva. Solo i pascoli di Gesù sono tranquilli e luminosi, solo Egli c’intende e si fa intendere, solo il suo amore ci appaga e ci sazia. Andiamo dunque da Lui, e riposiamoci sotto la sua guida nel suo campo ubertoso, la Chiesa, per godere la tranquillità e la pace amandolo, la felicità e la gloria raggiungendolo nell’eternità.
Nel mondo cerchiamo invano la compagnia; siamo soli, dobbiamo essere soli, e possiamo dire che il bilancio di ciascuna giornata passata a contatto con le creature, siano anche le più buone e care, è questo solo: Gesù, tu solo m’intendi, solo con te non ci sono equivoci e malintesi, Tu solo sei buono, solo Tu mi sazi e mi consoli, solo Tu sei il mio amore e la mia meta, e solo tua pecorella io voglio essere.
Ogni giorno che passa m’induce, per esperienze penose, a ridurre le mie parole, la mia franchezza, le mie espansioni con le creature; ogni giorno mi accorgo che cammino fra le spine e capisco che Tu ci vuoi solo e tutti per te, perché Tu solo puoi saziarci d’amore e di pace nei tuoi pascoli
Servo di Dio Don. Dolindo Ruotolo
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