giovedì 17 dicembre 2009

Beata te che hai creduto




Omelia del giorno 20 Dicembre 2009

IV Domenica di Avvento (Anno C)

Beata te che hai creduto

Sono giorni questi in cui si respira l'aria del Natale e, per chi crede, è la gioiosa attesa dell'Evento divino, difficile da descrivere a parole, che è Dio che viene tra noi, uomo come noi, per aprirci le porte della salvezza. I pochi giorni che ci separano dal Natale dovrebbero essere giorni di grande gioia dello spirito.

La stessa gioia che la Chiesa ci offre oggi nel racconto dell'Incontro di Maria con S. Elisabetta, che esclama: 'Beata te che hai creduto'.

Mi capita sempre, visitando i santuari mariani, da Lourdes a Fatima, di essere come afferrato da un che di soprannaturale che scuote ‘dentro’: come se ancora una volta la Mamma celeste ci venisse incontro a visitarci, come fece con la cugina Elisabetta.

Non si staccherebbero mai gli occhi dalla piccola statua a portata di mano. Pare che immediatamente si stabilisca un dialogo, cuore a cuore, che ti strappa letteralmente fuori dal solito mondo in cui viviamo, per immergerci in un altro che sogniamo, ma che a volte crediamo impossibile. Li la fede si fa certezza; presi per mano da Maria, la fede si fa conoscenza ed esperienza dell'amore di Dio. Lì, nella fede e nella preghiera, si sciolgono tanti nodi 'dentro', 'nodi' che la nostra ignoranza, per non dire altro, giorno dopo giorno ha costruito. E, alla fine, è come se in noi 'sussistesse il divino', che si è risvegliato. Viene spontaneo dire: 'Ora mi sento felice! Vorrei quasi che il viaggio finisse qui, per conservare intatta la pace e serenità che provo'.

Doveva essere davvero immenso lo stupore e la gioia della giovane Maria dopo l'annunciazione che sarebbe diventata Madre di Dio: una gioia che vuole condividere con Elisabetta, come ad averne conferma. E corre da lei.

A Fatima, se si è avuta la gioia di andare, ricorderete come sul frontale della basilica campeggiano le parole di Elisabetta a Maria: 'Beata te, che hai creduto'.

Così racconta l'incontro l'evangelista Luca:

"In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto dà Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: 'Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento della parola del Signore!: Allora Maria disse: 'L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l'umiltà della Sua serva' (Lc. 1, 39-48).

La Madonna era giovane, giovanissima. Non sognava neppure le 'grandi cose' che sogniamo a volte noi, abituati a 'sognare ambiziosamente le cose del mondo'. La Sua inimitabile umiltà, unita alla povertà, certamente la portava continuamente a contemplare la bellezza di Dio, vivendola poi nella semplicità della vita. Nulla poteva attrarla qui, perché nulla incuriosiva il suo cuore, solo attratto dall'amore di Dio e dalla sollecitudine per i fratelli, come verso Elisabetta.

La sua vita quasi non era avvertita da chi le viveva vicino, i suoi compaesani: Dio la teneva gelosamente nascosta agli occhi del mondo, per renderla tutta Sua. E sarà così con quel 'piena di grazia, il Signore è con te'. Così la semplicità e la povertà diventano luoghi in cui Dio si compiace di coltivare l'Opera più grande che sia possibile realizzare in una creatura: diventare Madre di Dio, farsi strumento docile del progetto incredibile di amore del Padre, che tanto ama il mondo, da affidare al cuore e alle mani di questa creatura, da Lui stesso plasmata, il Suo Figlio; mandarlo tra di noi, come uno di noi, passando per il grembo di una vergine, in modo ineffabile, per opera dello Spirito Santo.

Lontana da lei, Elisabetta, non più giovane e, avendo consumata l'età di poter generare un figlio, soffriva serenamente la sua sterilità. Anche lei una donna che aveva una grande intimità con Dio, di cui si fidava.

Non sapeva che la sua non era sterilità, ma l'attesa di diventare 'madre al tempo giusto', non per volontà umana, ma per un disegno e dono di Dio. Sarà madre di Giovanni Battista.

L'incontro delle due donne diventa così l'incontro di due 'annunci dal Cielo', che le renderanno protagoniste di promesse divine.

Questi due atti di fede si incontrano nella visita di Maria alla cugina Elisabetta, dove hanno la conferma che è proprio veto quello che Dio ha annunciato.

“Ecco, - dice Elisabetta - appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento della parola del Signore!: E Maria risponde: 'L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l'umiltà della Sua serva'.

E così, 'due povere donne' agli occhi del mondo, che, nella loro umiltà forse non osavano neppure alzare gli occhi al Cielo e tantomeno avevano pretese di segni particolari, per sentire la presenza di Dio, diventano il 'luogo' della manifestazione stessa di Dio.

Quanti insegnamenti da questo episodio evangelico. Ci richiama al nostro dovere di carità, di farsi vicini o visitare tanti, per portare serenità e gioia. Soprattutto verso chi non sta bene o è afflitto.

Era un giorno di Natale, in quei momenti in cui, dopo le solenni celebrazioni, si aspira ad un momento di riposo. Venni invece invitato a fare visita ad una famiglia disastrata sotto ogni aspetto.

`Lì, Padre, - mi si disse - c'è bisogno di portare l'annuncio che Dio è vicino ed ama. Se non nasce li, Lui nato in una mangiatoia, dove dovrebbe nascere?'. Si trattava di una famiglia davvero emarginata, tagliata fuori da ogni attenzione. Abitava in un tugurio, da far sembrare la grotta di Betlemme una reggia. Salendo una scala, che metteva in difficoltà lo stesso equilibrio, venni circondato da quattro bambini, dai quattro agli otto anni. Si rincorrevano silenziosamente, apparendo e scomparendo come topolini. In una stanza, che era probabilmente il solo luogo di ritrovo della famiglia, c'era il padre alcolizzato, con in mano una bottiglia, che non si accorse neppure di chi entrava. In un angolo, che alcuni volontari avevano cercato in tutti i modi di rendere presentabile, giaceva a letto la mamma. Aveva il petto letteralmente divorato dal cancro. Era evidente che soffrisse moltissimo. Ormai i medici non le avevano dato speranze e per lei, dato il suo stato di salute, non c'era più posto tra gli uomini, neppure tra i malati.

Del resto, non ne aveva mai avuto uno, per tutta la vita. Nonostante un'esistenza provata ai limiti della sopportabilità, nonostante il dolore che l'attanagliava, nonostante il suo sentirsi lontana da ogni affetto e aiuto, come non fosse una creatura di Dio, nonostante tutto... aveva due occhi di cielo, trapiantati in una palude.

Era insopportabile il cattivo odore che impregnava anche i nostri abiti. Si fece di tutto per ridonare a quell'ambiente un decoro umano. 'So che devo morire - mi disse - e non mi importa. Sono stanca di soffrire. Ho solo tre desideri: che qualcuno si prenda cura dei miei bimbi, di poter assistere ad una Messa celebrata qui. Ma verrà Gesù fino a me? Non si spaventerà di questo ambiente, di tutti noi che ci abitiamo? Ed infine vorrei poter trascorrere i miei ultimi giorni in una stanza di ospedale, pulita, per sentirmi anch'io un essere umano'.

Le risposi: 'Per la S. Messa gliela celebro oggi stesso, cosi Gesù celebra il suo Natale qui'. In breve tempo, con quanti vivevano la carità con me, la camera fu preparata. Celebrai la S. Messa con attorno all'altare improvvisato i quattro ragazzini, che apparivano e sparivano ancor più velocemente, perché avevano percepito che in casa c'era festa: era il loro modo di parteciparvi.

Attorno al letto vi erano i cari volontari, giovani che non riuscivano a nascondere la commozione_ E di fronte quella donna, Maria, che letteralmente si beveva tutta la celebrazione con gli occhi, come se davvero fosse presente alla nascita di Gesù. Continuava a ripetere: 'Che bello! Se il Natale è cosi bello da me, come sarà in Paradiso? Non c'è più bisogno che trovi una bella stanza per vivere i miei ultimi giorni: sono certa che la bellezza e l'amore che ci ha portato Gesù, durerà per i pochi giorni che restano'.

È stata un'esperienza – tra tante altre – che mi ha educato a vivere con amore.

E Natale ci insegna che non è più tempo di sole parole, ma di amore fattivo. È tempo di aprirci all'Amore che Dio ha per noi, per poi donarlo agli altri, come fu per Maria SS.ma e S. Elisabetta.

È tempo di generosità. È tempo di rinunciare a tante futilità, che rischiano di mettere in un angolo Gesù, che viene tra noi.

Un sorriso, una mano che si apre ai poveri, un atteggiamento di tolleranza, che diviene accoglienza, verso chi già è più fragile, perché si sente 'straniero in terra straniera', e i tanti infiniti modi di dire, anche ai più vicini, che li si ama, che siamo contenti di essere amati, diventano il grande annuncio degli Angeli: 'Oggi è nato per noi il Salvatore!'.

Ma saremo capaci?

Preghiamo:

Gesù, quando hai voluto condividere la nostra avventura umana,

per indicarci la strada della vera vita,

Tu, Signore, hai assunto la nostra carne mortale,

Ti sei rivestito della nostra umanità,

hai offerto la tua Persona al Padre,

perché in Te trovasse compimento

la speranza di tutta l'umanità.

Anche noi ti presentiamo la nostra vita,

ti offriamo le nostre persone, noi stessi,

per divenire collaboratori al Tuo progetto di amore e di salvezza.

Antonio Riboldi – Vescovo –

Internet: www.vescovoriboldi.it

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