sabato 13 agosto 2011

Gesù guariscimi

Nutriamoci della Parola di Dio 14 agosto 2011

Vangelo (Mt 15,21-28)

21 Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone. 22 Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: “Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio”. 23 Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i discepoli gli si accostarono implorando: “Esaudiscila, vedi come ci grida dietro”. 24 Ma egli rispose: “Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele”. 25 Ma quella venne e si prostrò dinanzi a lui dicendo: “Signore, aiutami!”. 26 Ed egli rispose: “Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini”. 27 “ È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. 28 Allora Gesù le replicò: “Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri”. E da quell’istante sua figlia fu guarita.

Raccontavano i rabbini che un agricoltore aveva piantato nel suo campo ogni sorta di alberi e li aveva coltivati con cura; attese molte primavere e molte estati, ma rimase deluso: tante foglie, qualche fiore, ma nessun frutto. Stava per appiccare il fuoco al campo quando, su un ramo un po’ discosto, vide una melagrana. La colse e la assaggiò: era deliziosa. “Per amore di questo melograno – esclamò felice – lascerò vivere tutti gli altri alberi del mio giardino”. Similmente – concludevano i rabbini – per amore di Israele Dio salverà il mondo.
Non tutti i giudei però condividevano l’apertura mentale di questi rabbini illuminati. La maggioranza riteneva che una sola era la stirpe eletta e santa e che i pagani dovevano essere evitati come immondi e reietti (At 10).
È con questo esclusivismo che si dovette confrontare la prima comunità cristiana spuntata, come virgulto rigoglioso, dal ceppo d’Israele.
I cristiani si interrogavano: la salvezza è destinata a tutti i popoli o è riservata ai figli di Abramo?
Nacquero dissensi, dissapori, aspri conflitti che divisero la chiesa (1Cor 1,10-12; Gal 2,11-14). Alcuni sostenevano che il vangelo doveva essere annunciato solo agli israeliti e, per avvalorare la loro tesi, si richiamavano al comportamento di Gesù che, durante la sua vita pubblica, aveva svolto la sua missione entro i confini della Palestina; ricordavano anche la sua raccomandazione: “Non andate fra i pagani, non entrate nelle città dei samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute del popolo d’Israele” (Mt 10,5-6).
Altri coltivavano idee più aperte, convinti com’erano che, sì, il vangelo doveva essere predicato anzitutto agli israeliti – primi destinatari della salvezza (Mt 22,1-6) – ma poi anche i pagani dovevano essere ammessi nella sala del banchetto del regno di Dio (Mt 22,8-10). Israele era “il primogenito” del Signore (Sir 36,11), ma non “l’unigenito”: Dio aveva sempre considerato suoi figli anche gli altri popoli (Ger 3,19). L’ordine del Risorto era stato inequivocabile: “Andate e fate discepole tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19-20).
A causa del breve tempo (forse soltanto tre anni) della vita pubblica, Gesù aveva limitato la sua missione “alle pecore perdute della casa d’Israele”, ma aveva anche compiuto gesti chiari per indicare che la sua salvezza era per tutti i popoli. L’episodio narrato nel vangelo di oggi è uno dei più significativi e rivelatori al riguardo.

Un giorno si presenta a Gesù una straniera. Viene dalle regioni di Tiro e Sidone e “continua a gridare” (si noti l’insistenza della sua preghiera), implorando la guarigione di sua figlia. Il testo la chiama “cananea”, appartiene dunque ad un popolo nemico, un popolo pericoloso che più volte ha sedotto Israele, lo ha fatto deviare dalla retta fede e lo ha indotto ad adorare Baal e Astarte.
I discepoli di Gesù – israeliti educati nel più rigoroso integralismo religioso – non possono che rimanere sorpresi di fronte alla sfrontatezza di questa pagana invadente che osa rivolgersi al loro Maestro e attendono la sua reazione: si atterrà alle norme vigenti che proibiscono di intrattenersi con straniere o – come spesso ha fatto – romperà gli schemi tradizionali?
L’evangelista riferisce il dialogo fra Gesù e la donna, compiacendosi quasi di sottolineare il tono sempre più duro delle risposte del Maestro. Di fronte alla richiesta di aiuto della donna, egli assume un atteggiamento sprezzante: non la degna di uno sguardo, non le rivolge nemmeno la parola (v. 23). Intervengono allora gli apostoli che, un po’ infastiditi, vogliono risolvere al più presto la situazione che rischia di divenire imbarazzante. Gli chiedono di allontanarla. “Esaudiscila”, – dice il nostro testo – ma non è una traduzione corretta. “Mandala via!” – è la loro richiesta.
Gesù sembra seguire il loro consiglio, diviene più severo e spiega: “Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa d’Israele” (v. 24).
L’immagine del gregge allo sbando ricorre spesso nell’AT: “Vanno errando tutte le mie pecore in tutto il paese e nessuno va in cerca di loro e se ne cura” – dichiara Ezechiele (Ez 34,6) – cui fa eco un altro profeta: “Tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada” (Is 53,6). C’è anche la promessa di Dio: “Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia” (Ez 34,11.16).
Solo con gli israeliti però il Signore ha preso impegni, è solo di loro che si deve interessare. Presentandosi come il pastore d’Israele, Gesù dichiara di voler dare compimento alle profezie e la donna capisce. Sa di non essere del popolo eletto, è cosciente di non appartenere al “gregge del Signore” e di non avere alcun diritto alla salvezza, tuttavia confida nella benevolenza e nella gratuità degli interventi di Dio, si prostra davanti a Gesù e implora: “Signore, aiutami!”.
Come risposta riceve un’offesa: “Non è bene prendere il pane dei figli e buttarlo ai cagnolini!” (v. 26).
Gli israeliti sono il gregge, i pagani sono i cani. L’uso del diminutivo attenua, ma non di molto, l’asprezza dell’insulto. “Cane” era, in tutto il Medio Oriente antico, la più pesante delle ingiurie, era il nomignolo con cui gli ebrei designavano i pagani. Un’immagine cruda, ripresa in vari testi del NT: “Non date le cose sante ai cani, né gettate le vostre perle davanti ai porci” (Mt 7,6). “Fuori i cani!” (Ap 22,15). “Guardatevi dai cani!” (Fil 3,2). Era usata per mettere in rilievo l’assoluta incompatibilità fra la vita pagana e la scelta evangelica.
Sulla bocca di Gesù questa espressione sorprende, soprattutto se si tiene conto del fatto che la donna cananea si è rivolta a lui con grande rispetto: per tre volte lo ha chiamato “Signore” – titolo con cui i cristiani professavano la loro fede nel Risorto – e una volta “Figlio di Davide” che equivale a riconoscerlo come messia. Sembra che, come tutti i suoi connazionali, anch’egli abbia in abominio gli stranieri. Ma è così?
La conclusione del racconto ci illumina. “Donna – esclama Gesù – davvero grande è la tua fede!”. Un elogio che non è mai stato rivolto a nessun israelita.
Ora tutto diviene chiaro. Ciò che precede – la provocazione, il disprezzo per i pagani, il richiamo alla loro impurità e indegnità – non era che un’abile messa in scena. Gesù voleva che i suoi discepoli modificassero radicalmente il loro modo di rapportarsi con gli stranieri. Ha “recitato la parte” dell’israelita integro e puro per mostrare quanto fosse insensata e ridicola la mentalità separatista coltivata dal suo popolo. Mentre le “pecore del gregge” si tenevano lontane dal pastore che le voleva radunare (Mt 23,37), i “cani” si accostavano a lui e, per la loro grande fede, ottenevano la salvezza.
Il messaggio è quanto mai attuale: la chiesa è chiamata ad essere segno che sono finite tutte le discriminazioni determinate dal sesso, dall’appartenenza a una razza, a un popolo o a un’istituzione. “Tutti voi siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù – dichiara Paolo – poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa” (Gal 3,26-29).
La donna cananea – la pagana, la miscredente – è additata a modello del vero credente: sa di non meritare nulla, crede che solo dalla parola di Cristo può giungere gratuitamente la salvezza, la implora e la riceve in dono.

Padre Fernando Armellini, biblista

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