Vangelo (Mt 3,13-17)
13 In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui.
14 Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?”. 15Ma Gesù gli disse: “Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia”. Allora Giovanni acconsentì.
16 Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. 17 Ed ecco una voce dal cielo che disse: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”.
Al tempo di Gesù molte sette religiose praticavano il battesimo. Il rito aveva molti significati, ma soprattutto uno era importante: con l’immersione si indicava la morte di un individuo (la sua vita passata era cancellata, quasi fosse trascinata via dalla corrente) e con l’emersione avveniva la nascita di un uomo nuovo al quale, naturalmente, veniva dato un nome nuovo.
Giovanni compiva questa cerimonia per accogliere coloro che volevano far parte dei suoi discepoli. Battezzava chi decideva di cambiare vita per prepararsi alla venuta del messia, annunciata come imminente. La prima condizione per ricevere il battesimo era di riconoscersi peccatori; è per questo che i farisei e i sadducei, che si ritenevano giusti e senza peccato, non ne sentivano il bisogno (Lc 7,30).
Se questo era il significato del battesimo di Giovanni, non si capisce la ragione per cui Gesù lo abbia ricevuto; egli non doveva cambiare vita e il suo gesto poteva suggerire l’idea che Giovanni gli fosse superiore. Per chiarire questa difficoltà, molto sentita fra i primi cristiani, Matteo introduce nell’episodio il dialogo fra il Battista, che si rifiuta di battezzare uno superiore a lui, e Gesù che insiste perché si compia “ogni giustizia”. Giovanni deve adeguarsi e collaborare alla realizzazione del progetto di salvezza di Dio (è questa “la giustizia”), anche se per lui presenta aspetti misteriosi e incomprensibili (vv. 14-15).
Persino una persona spiritualmente matura come il Battista incontra difficoltà ad accettare il messia di Dio: rimane sorpreso quando vede il santo, il giusto, affiancarsi a quei peccatori che, stando alla logica degli uomini, andrebbero annientati.
È la nuova, sconcertante “giustizia” di Dio. È la “giustizia” di colui che “vuole che tutti gli uomini siano salvati” (1 Tm 2,4). L’autore della lettera agli Ebrei richiamerà questa consolante verità in termini commoventi: Cristo non si vergogna di chiamare “fratelli” gli uomini peccatori (Eb 2,11).
È un invito rivolto alle comunità cristiane di oggi, affinché rivedano quegli atteggiamenti da cui traspaiono supponenza, presunzione, autocompiacimento per la propria giustizia, e correggano quel linguaggio che può ingenerare l’idea che si intenda giudicare, condannare, emarginare chi ha sbagliato o sta sbagliando.
Dopo questa introduzione originale, anche Matteo, come Marco e Luca, descrive la scena successiva con tre immagini: l’apertura dei cieli, la colomba, la voce dal cielo. Non sta ricordando fatti prodigiosi cui ha personalmente assistito. Impiega immagini ben note ai suoi lettori e il significato non è difficile da cogliere anche per noi.
Cominciamo dall’apertura del cielo.
Non si tratta di un’informazione meteorologica. Non è che, fra le nubi dense e cupe, improvvisamente sia filtrato un luminoso raggio di sole. Se così fosse, Matteo ci avrebbe riferito un dettaglio banale e di nessun interesse per la nostra fede. Egli sta alludendo, in modo esplicito, a un testo dell’AT, a un brano del profeta Isaia che è necessario richiamare.
Negli ultimi secoli prima di Cristo, il popolo d’Israele aveva avuto la sensazione che il cielo si fosse chiuso. Sdegnato per i peccati e le infedeltà del suo popolo, Dio si era ritirato nel suo mondo, aveva smesso di inviare profeti e sembrava avesse rotto ogni dialogo con l’uomo. I pii israeliti si chiedevano: quando avrà fine questo silenzio che tanto ci angoscia? Il Signore non tornerà a parlarci, non ci mostrerà più il suo volto sereno, come nei tempi antichi? Lo invocavano così: “Signore, tu sei nostro Padre; noi siamo l’argilla e tu colui che ci dà forma, tutti noi siamo opera delle tue mani. Non adirarti troppo, non ricordarti per sempre delle nostre iniquità… Ah, se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 64,7-8; 63,19).
Affermando che, con l’inizio della vita pubblica di Gesù, i cieli si sono squarciati, Matteo dà ai suoi lettori una sorprendente notizia: Dio ha esaudito la supplica del suo popolo, ha spalancato il cielo e non lo richiuderà mai più. È finita per sempre l’inimicizia fra il cielo e la terra. La porta della casa del Padre rimarrà eternamente spalancata per accogliere ogni figlio che desideri entrare, nessuno sarà escluso.
La seconda immagine è quella della colomba.
Matteo non dice che una colomba scese dal cielo, sarebbe anche questo un dettaglio banale e superfluo, ma che Gesù vide lo Spirito di Dio scendere dal cielo “come una colomba e venire su di lui”.
Il Battista ricorda certamente che dal cielo non è scesa solo la manna, ma sono scesi anche l’acqua distruttrice del diluvio (Gn 7,12), il fuoco e lo zolfo che hanno incenerito Sodoma e Gomorra (Gn 19,24). Probabilmente si aspetta la venuta dello Spirito come un fuoco divoratore dei malvagi. Su Gesù lo Spirito si posa invece come una colomba: è tutto tenerezza, affetto, bontà. Mosso dallo Spirito, Gesù si accosterà ai peccatori sempre con la dolcezza e l’amabilità della colomba.
La colomba era anche il simbolo dell’attaccamento al proprio nido. Se l’evangelista ha in mente anche questo richiamo, allora vuole dirci che lo Spirito cerca Gesù, come la colomba cerca il suo nido. Gesù è il tempio dove lo Spirito trova la sua stabile dimora.
La terza immagine: la voce dal cielo.
Era un’espressione usata spesso dai rabbini quando volevano attribuire a Dio un’affermazione. Nel nostro racconto ha lo scopo di definire, in nome di Dio, l’identità di Gesù.
Il brano è stato composto dopo gli avvenimenti della Pasqua per rispondere agli interrogativi suscitati nei discepoli dalla morte ignominiosa del Maestro. Ai loro occhi egli era parso uno sconfitto, un reietto e abbandonato dal Signore. I suoi nemici, custodi e garanti della purezza della fede d’Israele, lo avevano condannato come bestemmiatore. La domanda inquietante era: Dio ha forse condiviso questa sentenza?
Ai cristiani delle sue comunità Matteo riferisce il giudizio del Signore con una frase che allude a tre testi dell’AT.
- Questi è il figlio mio. Il richiamo è al Sal 2,7. Nella cultura semitica il termine figlio non indicava solo la generazione biologica, implicava anche l’affermazione di una somiglianza. Presentando Gesù come suo figlio, Diogarantisce di riconoscersi in lui, nelle sue parole, nelle sue opere e, soprattutto, nel suo gesto supremo di amore: il dono della vita. Chi vuole conoscere il Padre non deve far altro che contemplare questo figlio.
- Il prediletto. Il riferimento è al racconto della prova cui è stato sottoposto Abramo: gli era stato chiesto di offrire il figlio Isacco, l’unico, il prediletto, (Gn 22,2.12.16). Applicando a Gesù questo titolo, Dio invita a non considerarlo un re o un profeta come gli altri, egli è, come Isacco, l’unico, l’amato.
- Nel quale mi sono compiaciuto. Conosciamo già quest’espressione perché si trova nel primo versetto della lettura di oggi (Is 42,1). Dio dichiara che è Gesù il servo di cui ha parlato il profeta, è lui l’inviato a “instaurare il diritto e la giustizia” nel mondo. Per portare a compimento questa missione offrirà la vita.
La voce dal cielo ribalta dunque il giudizio pronunciato dagli uomini e smentisce le attese messianiche del popolo d’Israele che non poteva concepire un messia umiliato, sconfitto, giustiziato. Quando, nella casa del sommo sacerdote, Pietro giurò di non conoscere quell’uomo, in fondo stava dicendo la verità, non poteva riconoscere in lui il messia: non corrispondeva in nulla all’atteso salvatore. Il modo con cui Dio ha adempiuto le sue promesse ha costituito per tutti, anche per il Battista, una sorpresa.
Commentando il vangelo della festa della sacra Famiglia, abbiamo detto che Matteo mette spesso in rilievo i tratti simili di Gesù e Mosè. Nel brano di oggi troviamo un nuovo richiamo a questo parallelismo: Mosè ricevette lo spirito di Dio quando, assieme a tutto il popolo, uscì dalle acque del mar Rosso. Quella forza divina gli permise di guidare gli israeliti attraverso il deserto, fino alla terra promessa. Anche Gesù ricevette lo Spirito dopo essere uscito dall’acqua; poi, assieme agli uomini schiavi del male, intraprese il cammino verso la libertà.
Fernando Armellini (biblista)
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